La zavorra dei conti e la sfida della credibilità

di Sergio Sciarelli
Giovedì 6 Maggio 2021, 00:00 - Ultimo agg. 07:01
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L’imponente debito aggravatosi nel corso degli ultimi dieci anni è il macigno che incombe sulla nuova amministrazione comunale di Napoli. Quale aspirante sindaco vorrà assumersi la responsabilità di governare la terza città d’Italia in condizioni di conclamato dissesto finanziario? Situazione, questa, che peraltro si trascina da tempo e che certo non era sconosciuta al sindaco de Magistris. Ricordiamo tutti che, all’atto della presentazione della candidatura, dichiarò con molta decisione che non avrebbe chiesto il dissesto perché Napoli aveva risorse e competenze adeguate per realizzare un’efficace azione di risanamento. Oggi, dopo dieci anni dalla sua elezione, sappiamo bene com’è andata: non solo la debitoria non è stata ridotta ma anzi è aumentata esponenzialmente nonostante i tentativi di creare liquidità (vedi le fallite dismissioni del patrimonio immobiliare) e i provvedimenti straordinari di aiuto da parte dello Stato.

In particolare, proprio per salvare gli enti locali in crisi e per evitare le dichiarazioni di dissesto è stata prevista l’attuazione di una procedura definita di pre-dissesto, caratterizzata però da una condizione basilare di realizzabilità. Il ricorso a questa procedura, che avrebbe consentito di spalmare in ottica pluriennale la debitoria in essere con garanzia dello Stato e di fornire risorse aggiuntive prelevate dal Fondo di rotazione, veniva condizionata all’ipotesi di un’effettiva possibilità di riequilibrio dei conti nel tempo lungo. La differenza, dunque, tra dissesto e pre-dissesto era fondata sulle previsioni di risanabilità e sull’aiuto finanziario del Governo per scongiurare eventi traumatici per i creditori.

Nel caso di Napoli, caso peraltro comune ad altre grandi città, l’opportunità favorevole di un pre-dissesto o “dissesto guidato” non ha purtroppo portato né avrebbe potuto portare all’avvio di un procedimento di risanamento finanziario.

La conseguenza è stata soltanto l’assunzione di debiti su debiti e l’inutile ricorso a misure straordinarie di carattere finanziario. In realtà, il pre-dissesto finisce per nascondere, dunque, un deficit strutturale ovvero un dissesto vero e proprio allorchè, nonostante il supporto del Governo centrale, il rientro dalla debitoria non si realizzi. Per la nostra città il progressivo e cospicuo aggravamento della debitoria e l’insufficienza delle fonti di copertura avrebbero perciò dovuto consigliare o, forse, meglio imporre una dichiarazione di dissesto. 
Perché tutto ciò non è stato fatto e perchè il risanamento attraverso la misura del pre-dissesto ha in effetti rappresentato soltanto la possibilità di rinviare il problema alla nuova amministrazione? Le ragioni sono di carattere sociale e politico.

La nomina di un commissario per il dissesto (nomina peraltro già avvenuta in passato con il commissariamento del Comune di Napoli nel 1993), comporta effetti sociali particolarmente penalizzanti, visto che, in una condizione diffusa di crisi aziendali, potrà essere garantito un saldo molto parziale ai creditori, e contemporaneamente effetti politici negativi per l’immagine degli amministratori in carica.

Ora è chiaro che il rinvio di interventi risolutivi di risanamento dei conti si riflette pesantemente sul futuro della nostra città sia per il protrarsi di una situazione difficile sia, e questo è certo un fatto molto preoccupante, perchè qualsiasi aspirante sindaco dotato di un minimo di razionalità economica vorrà capire come potere amministrare una città di fatto dissestata.

In qualsiasi tipo di azienda (e un Comune certamente lo è) l’esistenza di un problema finanziario strutturale rappresenta un vincolo difficilmente superabile per avviare una strategia di sana amministrazione e di sviluppo. L’insufficienza delle risorse genera infatti crisi irreversibili soprattutto quando non c’è la possibilità di separare nettamente la vecchia gestione (magari attribuendola a una bad company) dalla nuova affidata a un nuovo management. 

È questo peraltro il motivo di fondo per ritornare politicamente sul vecchio tema di una legge speciale per Napoli (e anche per qualche altra grande città italiana), tema che tuttavia appare veramente poco attuale in un contesto pandemico. Di fronte ad una crisi di carattere epocale, che ha messo in ginocchio il mondo intero, sembra infatti difficile ipotizzare interventi straordinari ad opera dello Stato senza un disegno credibile e giustificabile nell’interesse generale.

Nel problematica del dissesto del Comune di Napoli s’intrecciano così fatti tecnici, strumenti giuridici e responsabilità politiche, che coinvolgono o finiranno per coinvolgere tutti i protagonisti (sindaco vecchio, sindaco nuovo, governo, creditori e cittadinanza intera). La conclusione, dunque, è che le attese dei napoletani che aspirano legittimamente a vivere meglio, in un contesto di regole e responsabilità ben definite e non in condizioni di costante emergenza (non soltanto finanziarie) sembrano in sostanza legate all’elezione di amministratori capaci, coraggiosi e, soprattutto, con una particolare credibilità da parte del Governo.

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