Anno 2020, dai balconi al «panaro», la lezione di Napoli

Anno 2020, dai balconi al «panaro», la lezione di Napoli
di Antonio Menna
Giovedì 31 Dicembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 08:07
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C’è una crepa in ogni cosa, cantava Leonard Cohen, ed è così che entra la luce. La pandemia per Napoli è stata un tracollo: abituata a vivere di turismo e di tempo libero, con i mille rivoli dell’indotto; centrata per cultura e tradizione sul rapporto umano, la città ha sofferto le restrizioni. Ma nei dieci mesi di questo 2020 di drammatico corpo a corpo con il virus, la città ha saputo anche mostrare forza e resistenza. È la fine del mese di febbraio, quando spunta il paziente zero napoletano: un avvocato di 50 anni. Ai primi di marzo, i casi in Campania sono già più di 30. Non sono i numeri del Nord ma la paura si insedia anche qui. Il 9 marzo comincia la zona rossa in tutto il territorio nazionale. Parte una esperienza inedita, scioccante. Tutto chiuso, tranne alimentari e farmacie, divieto di uscire di casa se non per motivi urgenti ed eccezionali. C’è chi restando a casa continua a lavorare e a guadagnare. E chi perde tutto e non ha niente. I due volti di Napoli si specchiano nell’emergenza. Sale la crisi nei vicoli, nei quartieri popolari. Ma entra la luce, nella crepa del disagio sociale. Napoli palpita di solidarietà, fin da subito. Mentre dai balconi si canta Abbracciame di Andrea Sannino, qualcuno cala il panaro. Chi può metta, chi non può prenda. Il panaro solidale si aggiunge ai carrelli sospesi nei supermercati. Nei rioni popolari, associazioni e volontari girano per le case dei più poveri a distribuire pasta e passate di pomodoro. Nella seconda ondata, la solidarietà non si ferma. Alla mensa del Carmine, migliaia di nuovi poveri in attesa di un pasto, serviti da centinaia di volontari che sfidano anche il virus. Alla Sanità, dalla Basilica di don Antonio Loffredo, arriva il tampone sospeso. Test gratuito per i poveri, o al prezzo calmierato di 18 euro per i meno abbienti. 



Alla metà di marzo i casi in Campania sono arrivati a 300. Sembrano tantissimi ma poi a novembre ne avremmo contati 4mila al giorno. Il virus dilaga, si diceva. Chiuse le chiese, sospeso il campionato. Mancano le mascherine, a volte persino al personale sanitario. Così nelle case napoletane, le sarte recuperano pezzi di stoffa. A Napoli est, proprio di fronte all’Ospedale del mare, una signora prepara le mascherine che porta personalmente al Pronto soccorso. Si attivano anche decine di associazioni. Da Fabio Cannavaro, che vive in Cina, arrivano direttamente al Cotugno centinaia di ausili di sicurezza. Ad aprile, il virus ha infettato duemila persone. Il lockdown è totale. Alle pizzerie non è concesso neppure il delivery. Il presidente De Luca diventa una icona internazionale per le sue scudisciate: il lanciafiamme sui ragazzi che vogliono festeggiare la laurea, i cinghialoni del footing. Arrivano tra gli applausi dei cittadini i tir veneti che devono montare le unità di terapia intensiva straordinaria nel parcheggio dell’Ospedale del mare.

Il video con l’esultanza dai palazzi fa il giro del mondo, diventa un simbolo di speranza e unità. Come un simbolo della natura che rinasce diventano le foto del mare bellissimo e incontaminato di Napoli, che sembra giovarsi del blocco di tutte le attività. E un altro simbolo dell’eccellenza sanitaria nel mondo diventa il Cotugno, l’ospedale delle malattie infettive che viene ammirato per capacità organizzativa e protocolli di sicurezza. 

 

A maggio, il lockdown sostanzialmente termina. Tutto si rimette lentamente in moto. I nuovi casi crollano nei numeri, a giugno il contagio zero solleva entusiasmi. La città riapre, arrivano anche un po’ di turisti dal resto d’Italia. I festeggiamenti per la vittoria in Coppa Italia non creano l’ecatombe annunciata. A parte qualche focolaio, i numeri a giugno e luglio sembrano sotto controllo. A settembre ricomincia la corsa. Prima si vota per le regionali, poi si annunciano nuove restrizioni. «Chiudo tutto», tuona De Luca. Ma non lo fa. Chiude solo le scuole. Esplodono le rivolte di commercianti e ristoratori. Non lo fa neppure il governo, che tentenna con un semaforo di colori. Torna la crisi negli ospedali, i numeri sono da capogiro. È il secondo lockdown? Non proprio: zone rosse a singhiozzo ma senza controlli. Non c’è più il clima della prima ondata. Più rabbia, meno speranza. Più insofferenza, meno solidarietà. De Luca e De Magistris litigano su tutto. San Gennaro nega il miracolo. E mentre brilla la stella del vaccino, finisce l’anno: i dieci mesi incredibili del Coronavirus lasciano mille graffi sul cuore di Napoli ma da lì è entrata anche molta luce.

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