Udc, veleni in tribunale per il commissario
De Mita jr contro Cesa

Udc, veleni in tribunale per il commissario De Mita jr contro Cesa
di Adolfo Pappalardo
Giovedì 7 Dicembre 2017, 23:16
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Ci risiamo: la politica sarà di nuovo in un’aula di tribunale. No, stavolta, non è cosa che riguarda il Pd napoletano ma i rapporti tra Giuseppe De Mita e l’Udc di Lorenzo Cesa. Citati quest’ultimi (partito e segretario) dal deputato centrista che contesta il commissariamento di un mese fa e chiede ora ai giudici di tornare sulla poltrona di segretario regionale. E non, badate, l’incarico di segretario regionale. 
«Di questo passo Cesa dovrà commissariare gli elettori per sperare di avere qualche risultato», disse beffardo il nipote del leader di Nusco all’indomani della decisione di Cesa di commissariare il partito campano accusandolo di «usare metodi da caserma: prima si evita di convocare il congresso nazionale ed ora si commissaria il partito regionale per dissenso politico. Decisioni che tradiscono insieme la logica politica ed il rispetto delle regole statutarie». 
Ma sembrava comunque tutto chiuso, finito e sepolto perché nei partiti commissariamenti e cambi della linea politica sono ormai all’ordine del giorno ed invece ora De Mita, attraverso l’avvocato Riccardo Marone, ricorre per chiedere l’annullamento della «delibera, in quanto mai notificata, che revoca e/o dichiara la decadenza del segretario regionale del partito». 
Dietro divergenze e veleni e rapporti mai idilliaci tra i due (e tra Cesa stesso e il più famoso zio ex premier) per un incarico durato giusto un anno e culminato con lo scontro nella direzione nazionale dell’Udc di ottobre scorso. In quell’assise si registrò il voto contrario di De Mita jr alla relazione, approvata quasi all’unanimità, del segretario Lorenzo Cesa con cui il leader Udc tracciava la nuova linea del partito. In soldoni decidendo di rientrare a tutti gli effetti nella coalizione di centrodestra sotto l’ala di Silvio Berlusconi. Per Cesa la casa naturale, ma non per De Mita che dal centrodestra però passò armi e bagagli con la coalizione di Vincenzo De Luca alla vigilia del voto regionale. La stessa squadra con cui i De Mita sono tutt’ora in maggioranza con il centrosinistra (dopo una legislatura con Stefano Caldoro) a palazzo Santa Lucia. E se allora, con il patto della notte di Marano, si giustificò, come non fosse affatto un tradimento della linea politica, stavolta il passaggio verso il centrodestra berlusconiano deciso da Cesa diventa uno degli architravi su cui si basa il ricorso demitiano ai giudici. Paradossi. 
«Il segretario nazionale anziché discutere del tema della convocazione del congresso - è scritto nel ricorso riferendosi all’assise del 7 ottobre - ha presentato una relazione con cui ha modificato la linea del congresso 2014....Ed ha radicalmente mutato la linea politica del partito». «E - continua il ricorso depositato - la revoca è avvenuta perché il segretario regionale del partito non si sarebbe adeguato alla nuova linea politica che è del tutto illegittima». Per De Mita al segretario nazionale non spetta e non può spettare la revoca di un incarico «determinato dal voto unanime di 12987 iscritti regionali al partito» nel congresso del novembre 2016. Mentre Cesa, all’indomani della decisione di scalzare De Mita per «tradimento» faceva notare come «le vicesegreterie hanno, per loro natura, un rapporto fiduciario con il segretario politico nazionale e con la linea politica espressa dal Partito - conclude Cesa - E, pertanto, con rammarico, revoco il tuo mandato di vicesegretario nazionale che mi pare, in questa fase, non compatibile con i tuoi e i miei orientamenti». Niente da dire sulla revoca da vicesegretario ma ricorso ai magistrati sul ruolo di responsabile campano dell’Udc. Partito però da cui, di fatto, è uscito. 
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