Ho sognato un’altra musica

di Francesco Durante
Lunedì 3 Agosto 2015, 23:13 - Ultimo agg. 23:26
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Ho sognato che il Tar, sordo alle geremiadi dei discotecari e alle mene dei loro protettori politici, non disponeva la riapertura del Cocoricò. E che per di più il governo, con un provvedimento d’urgenza, varava una moratoria di almeno un anno sulle discoteche: chiusura immediata per tutte, per riparlarne (eventualmente) ad agosto 2016. Il provvedimento, oltre che ispirato dalla necessità di tutelare la salute dei giovani, era collegato al pacchetto della «buona scuola».



E puntava, in sostanza, al ripristino di una sorta di igiene creativa – oltre che mentale, morale ed ecologica – dopo la presa d’atto della impossibilità di continuare a reggere quella che un comitato di saggi presieduto da Riccardo Muti e Vasco Rossi aveva definito «la musica più assordante, alienante, imbecille e irreparabilmente brutta e diseducativa mai concepita dall’umanità nel corso della sua intera storia».



La lobby delle discoteche, ho sognato anche questo, provava allora a mobilitare il «popolo della notte», convocando una grande manifestazione a piazza San Giovanni, con Claudio Cecchetto e David Guetta sul palco. Si contava sulla partecipazione di decine di migliaia di giovani, ma il gran caldo, e il fatto che alle 11, orario previsto per la partenza del corteo, dormivano tutti, avevano tuttavia provocato il totale fallimento dell’iniziativa: a Roma non c’erano più di trecento persone (centoventi per la questura), sparute, svogliate e assonnate. Una brutta sorpresa per i numerosi spacciatori di mdma e altre schifezze che avevano pensato di non lasciarsi sfuggire quell’ultima occasione e che, ai margini del corteo, venivano intanto individuati, isolati e malmenati da ronde di mamme gioiosamente inferocite.



Ho sognato dunque che le discoteche venivano convertite in nuovi e più utili spazi di aggregazione. Laboratori musicali, per le arti visive, per la danza, il teatro, le attività multimediali, lo sport, aperti dalle 9 del mattino a mezzanotte. La moratoria prevedeva infatti che non fosse lecito fare i soldi sulle spalle dei minorenni nelle ore notturne, e questa era davvero una autentica rivoluzione copernicana, il definitivo «cambia verso» del provvedimento, salutato per una volta con enorme favore (e sia pure con qualche residuale perplessità intorno a certi suoi profili autoritari) dai più diversi settori della politica e della società. Come se l’Italia si risvegliasse da un lungo letargo: «Erano più di vent’anni che i nostri ragazzi non andavano a ballare prima di mezzanotte, nessuno sapeva spiegarsene il perché ma tutti ci eravamo convinti che fosse inevitabile. E invece…».



Sulla collina di Riccione, numerose comitive di sballatoni sopraggiunti da ogni parte del Paese per rendere l’ultimo, mesto omaggio alla vecchia piramide del Cocoricò, dopo qualche comprensibile esitazione si acconciavano a dare una mano per la vendemmia e altre occupazioni di carattere agro-pastorale. Alcuni di loro scoprivano, non senza meravigliarsene, che è possibile rimorchiare anche di giorno, e soprattutto senza farsi di ecstasy, ma sorseggiando, al più, un bicchiere di spumeggiante sangiovese accompagnato da una piadina« farcita di salamella. E, anche se non tutti si mostravano entusiasti per l’autocandidatura dell’orchestra di Secondo Casadei, accorso con l’idea di fargli fare quattro salti sull’aia dopo il tramonto, si può dire che per la stragrande maggioranza fosse assolutamente fantastico scoprire che, spenti i laser e le fotoelettriche, nel cielo limpido si possono vedere e guardare le stelle. Superata con successo anche la prova più temuta, quella del silenzio: «È bellissimo, e non ho paura. È questo il vero sballo», diceva una cubista che fino a poche ore prima era parsa inconsolabile.



Già che c’ero, ho sognato pure che la moratoria veniva estesa ai piano bar all’aperto, perché finalmente si dava ascolto alle proteste dei vicini che ogni sera dovevano subirne l’infinita e infinitamente banale protervia. E ho sognato che in tutte le città e nelle località turistiche spuntavano come funghi nuovi bar e ristoranti orgogliosi di esibire la scritta «Qui non si impone musica ai clienti». L’Italia rinasceva all’improvviso, riscoprendo il piacere di stare insieme, di chiacchierare senza il bisogno di alzare la voce, e l’orgoglio di salvaguardare quel poco di vivibilità che non s’era ancora irreparabilmente giocata. Poi, però, mi sono svegliato e sono entrato in un bar per il primo caffè del mattino. Erano le 8, in giro non c’era quasi nessuno, ma l’altoparlante del bar già sputacchiava le note di «El Perdon» di Nicky Jam ed Enrique Iglesias, e il caffè mi è andato di traverso.