I proclami del terrore che il web non blocca

di Ruben Razzante
Martedì 17 Ottobre 2023, 23:45 - Ultimo agg. 19 Ottobre, 06:00
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Di fronte all’infinito orrore mediorientale, che scuote intere comunità e pone interrogativi che artigliano intelligenze e coscienze, sta forse passando in secondo piano l’incidenza che la Rete può avere nella propagazione dell’odio e nell’esasperazione dei conflitti. Dietro il fenomeno dei “lupi solitari”, infatti si coglie nitidamente la spiccata attitudine a spargere veleni nel web e sui social da parte di organizzazioni come Hamas che puntano a convertire al radicalismo i musulmani sparsi in tutta Europa.

Il riacutizzarsi del conflitto israelo-palestinese in seguito all’attacco terroristico di Hamas è fin da subito uscito dall’angusto recinto della geopolitica per invadere il territorio dei media e ancor più il mondo dei social network, nel quale riceve un’amplificazione costante, che finisce per alimentare un clima altamente tossico e contrassegnato dal terrore permanente.

Ad esempio i terroristi di Hamas hanno utilizzato sfrontatamente i social per condividere le scene delle stragi e dei rapimenti degli israeliani lungo la Striscia di Gaza e quindi per alimentare la spirale della drammatizzazione del conflitto.

Per converso, molte celebrità hanno deciso di esporsi, proprio usando le piattaforme social, postando storie e commenti e per dichiarare piena solidarietà ad Israele.

Ma ce ne sono state anche altre che hanno sfruttato lo spazio virtuale per condividere appelli in favore della causa palestinese.

Tutte queste dinamiche hanno di fatto trasformato i social in un terreno alternativo di scontro politico, ideologico e religioso. Pertanto risulta tutt’altro che ozioso interrogarsi sul delicato equilibrio tra libertà d’espressione e difesa della pace poiché l’impiego degli strumenti tecnologici più evoluti per far salire il termometro delle tensioni interpella il senso di responsabilità dei singoli ma anche quello dei gestori delle piattaforme web e social.

Il tema è molto controverso, tanto più perché ad esacerbare gli animi non è solo il linguaggio d’odio, non sono solo le minacce più o meno plateali. Ad accendere nuove micce destabilizzanti sono spessissimo le fake news che infestano lo spazio virtuale e generano disinformazione, disseminando sul terreno del dialogo ostacoli subdoli difficilmente disinnescabili.

L’Unione europea ha richiamato i social network ad attivarsi per contrastare la diffusione di contenuti falsi o manipolati a seguito dell’attacco di Hamas il 7 ottobre.

Sono diventate virali immagini di videogiochi rilanciate come se fossero un attacco missilistico, ma anche false notizie secondo cui l’Ucraina venderebbe armi arrivate dall’Occidente ad Hamas.

Viaggia indisturbata lungo le infinite autostrade virtuali una falsa immagine di Cristiano Ronaldo con la bandiera della Palestina. È inoltre circolato un video sui social che avrebbe mostrato la fuga dei partecipanti a un festival durante l’attacco di Hamas, che però - come dimostrato da Reuters- è in realtà risalente a un concerto di Bruno Mars di qualche giorno prima. 

L’elenco di fake news è sterminato e finisce per indurre atteggiamenti e comportamenti sbagliati e per iniettare un siero letale nei circuiti mediatici che invece potrebbero avere un ruolo determinante nell’attivazione di costruttivi percorsi di pacificazione.

Alla luce di questa escalation occorre chiedersi se non sia giusto pretendere che i colossi della Rete, che offrono il proscenio del web e dei social a provocatori e a produttori seriali di notizie false, intervengano in maniera risoluta in situazioni del genere per frenare queste ondate insane di contenuti nocivi per il diritto dei cittadini-utenti ad essere correttamente informati su fatti di rilevanza internazionale.

L’Unione europea ha inviato a X una “formale richiesta di informazioni”, primo passo di una indagine per verificare il rispetto delle disposizioni contenute nel Digital Services Act, il nuovo Regolamento europeo che i giganti dell’economia digitale devono rispettare dal 25 agosto scorso e che li responsabilizza fortemente rispetto alle azioni di contrasto alle fake news e all’hate speech.

La circolazione online di contenuti falsi e manipolati contamina i circuiti informativi e ispira il più delle volte reazioni violente e scomposte che infiammano le lotte tra fazioni allontanando il traguardo della pace. Gli algoritmi che governano i colossi del web sono in realtà abili costruttori di bolle comunicative e di narrazioni fuorvianti e dunque vanno “ammaestrati” dalle grandi piattaforme che hanno nelle mani il potere di diffondere in modo globale contenuti di qualsiasi tipo. Se una multinazionale della Rete interviene per finalità commerciali sui messaggi pubblicitari non si comprende perché non possa e non debba farlo in situazioni che mettono a repentaglio la stabilità mondiale. 

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