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Il coraggio che manca al partito democratico

di Mauro Calise
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 5 Dicembre 2022, 00:00 - Ultimo agg. : 06:00
3 Minuti di Lettura

Con la discesa in campo di Elly Schlein, le primarie Pd entrano nel vivo. Ma è bene avvertire il lettore che il round più interessante – e decisivo – sarà il secondo. Questa fase iniziale della sfida riguarda solo gli iscritti. Vale a dire le correnti che li controllano, con un meccanismo oligarchico che è il principale ostacolo al rinnovamento. Quel rinnovamento che tutti vorrebbero a parole, ma che, se sfondasse davvero, spodesterebbe proprio chi oggi tira le fila del potere. Il paradosso delle prossime settimane sarà questo. Entrambi i candidati diranno di volere rivoltare il Pd come un calzino.

Ma si guarderanno bene dal dire come, perché questa svolta inciderebbe sulla attuale macchina di gestione dei consensi interni. Ed è la macchina che, dietro le quinte, indirizzerà il voto degli iscritti. Chi ha un mimino di familiarità con i tanto decantati circoli della base sa che sono in calo verticale di numerosità ed attività, e che la loro funzione principale è di tenere in vita il meccanismo arcaico dei delegati ai congressi. Una struttura piramidale con due compiti: legittimare – se così si può dire – i vertici del partito, e alimentare il mito delle radici popolari. Pazienza se le enclave territoriali che ancora possono vantare un minimo di vitalità autonoma ricalcano la fotografia elettorale del partito democratico oggi: Ztl e ex-aree rosse. 

Ma allora, se le cose stanno così, che cosa ci si può aspettare da una partita ristretta a pochi circoli in mano ai signori delle tessere? I pessimisti non si aspettano niente. Considerano questa vicenda i titoli di coda di un partito che non ha molte speranze di uscire dal cul de sac in cui si è cacciato. Un altro – poco appassionante – capitolo di una fine annunciata. Gli ottimisti, invece, aspetteranno pazientemente che si concluda il primo turno, con i due candidati schierati su due distinte trincee ideologiche: il saper fare degli amministratori, di cui Bonaccini si fa alfiere, e la bandiera ideale dei diritti, di cui Schlein è da sempre paladina. Due piattaforme cui c’è poco da obiettare, e che andrebbero ancora meglio se – invece di contrapporsi – si fondessero in una sola proposta. Ma che non intaccano il nodo responsabile del declino Pd: una struttura organizzativa obsoleta, incapace di innestare la crescita di partecipazione giovanile di cui il Pd ha disperato bisogno se vuole provare a intercettare nuove energie e nuove idee.

È il fronte cui si rivolge esplicitamente Elly Schlein. Ma, almeno per il momento, lo fa con mezzi e linguaggi inadeguati, ancora nell’orbita autoreferenziale della vecchia sinistra radicale. Per coinvolgere e mobilitare le nuove generazioni, c’è un solo modo: rompere con i vecchi riti e stili comunicativi e portare anche dentro il Pd la rivoluzione digitale di cui sono stati antesignani i democratici americani. Elly conosce bene questo mondo. Nel 2008 e nel 2012 ha seguito in prima persona, giovanissima, la costruzione di quel «partito nuovo» descritto, in un saggio recente, da Marco Valbruzzi. Un partito che ha saputo mettere a frutto lo straordinario potenziale partecipativo della Rete, e farne il lievito e il volano di due campagne elettorali vittoriose, incanalando il lavoro collettivo dei social verso scopi organizzativi. Questa «infrastrutturazione digitale del partito» passa attraverso «la creazione o la sponsorizzazione di organizzazioni specializzate nel digitale, nell’analisi dei dati e nei servizi di analytics» che consentono di ampliare rapidamente la base della militanza più attiva, anche grazie al contributo di volontari tecnologicamente più attrezzati.

È improbabile che Schlein – o Bonaccini – vogliano trasformare le primarie nel laboratorio di una «campagna open source», con l’inevitabile impatto dirompente nei confronti della vecchia guardia. Ma, se mai dovesse accadere, è al ballottaggio che ci proveranno. Quando la vittoria dipenderà dalla capacità – e dal coraggio – di fare entrare in partita nuovi protagonisti. Come è accaduto quasi vent’anni fa in America. E come, dalle nostre parti, ancora non si riesce nemmeno a cominciare a pensare. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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