La Ue che verrà garantisca un forte impulso alla crescita

di Enrico Del Colle
Lunedì 29 Aprile 2024, 23:30 - Ultimo agg. 30 Aprile, 06:00
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L’ 1% per i Paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 90% (solo 5 Paesi, cioè Grecia, Italia, Francia, Spagna e Belgio), lo 0,5% per gli 8 Paesi con un rapporto compreso tra il 60% e il 90% (Germania, Croazia, Cipro, Ungheria, Austria, Portogallo, Slovenia e Finlandia); per i restanti 14 Paesi non ci sono impegni da onorare a questo riguardo. Quindi, a fronte di un dato medio Ue pari a poco meno dell’82%, le situazioni dei 27 Paesi appaiono molto differenziate, con modalità di rientro altrettanto diversificate.

Ciò comporta che ciascun Paese deve presentare provvedimenti da attuare in un tempo ragionevole (da 4 a 7 anni) e in grado di assicurare il rispetto del livello del suddetto parametro (per i Paesi più virtuosi) oppure la riduzione dello stesso (per quelli inritardo). Ebbene, non è difficile comprendere come, a fianco del “programma” di contrazione del debito, debba essere progettata una crescita della ricchezza prodotta che acceleri il cammino verso il tanto “sospirato” traguardo del 60% del rapporto debito/Pil (si pensi che il Pil della Ue si è incrementato di appena lo 0,2%, con più del 4% in Danimarca e meno 9% in Irlanda). In altre parole, deve essere significativamente innalzato il livello degli investimenti fissi che preludono ad un incremento di competitività industriale, senza la quale appare complicato “distribuire” benessere economico escludendo il ricorso a nuovo debito. Ma qual è lo stato dei Paesi per ciò che concerne investimenti e produzione?

I dati Eurostat sono rivelatori di condizioni estremamente difformi: negli ultimi 10 anni gli investimenti (a prezzi costanti) sono cresciuti nella Ue del 27%, con “punte” superiori al 50% in Danimarca,Irlanda, nei Paesi baltici, in Romania, Polonia e Svezia, mentre desta un certo effetto la riduzione superiore al 20% della Grecia (l’Italia ha mostrato un aumento del 17%, 10 punti inmeno della media Ue). La produzione industriale europea, dal canto suo, ha posto in luce negli ultimi 5 anni una contrazione del 4%; tale cifra, però, rappresenta un “distillato” di situazioni nazionali complesse: infatti, sono soltanto 8 i Paesi in crescita (Danimarca, Grecia, Spagna, Francia, Ungheria, Polonia, Portogallo e Svezia, con il nostro Paese in lieve ritardo, meno 1%).

C’è bisogno, pertanto, in Europa, di rimuovere alcuni ostacoli(come, ad esempio, la non comune volontà degli Stati membri di creare nuovi strumenti europei di finanziamento, capaci di compensare le inferiori disponibilità dei singoli Paesi) che impediscono o, comunque, rallentano investimenti innovativi nella transizione “green” e in quella digitale, frenando, così, la produttività.

Ma attenzione, questo necessario sforzo di cambiamento e di miglioramento per elevare il confine tecnologico e per concorrere nel mercato globale (in particolare con le decisioni monopolistiche della Cina) prevede un differente modo di allocare le risorse disponibili, pubbliche e private; questa diversa ripartizione deve, però, combinarsi efficacemente con un rassicurante Stato sociale in modo da collegare crescita economica con la solidarietà comune. Si tratta, cioè, di coniugare competitività ed opportunità economiche con un solido sentimento di comunanza tra i Paesi, sapendo che quest’ultima non è un intralcio alla crescita, bensì un impulso.

Il tema è delicato perché, pur spendendo in Europa più di 4mila miliardi per la protezione sociale nel 2022 (in aumento del 3% rispetto al 2021), si registra un calo del 2% circa in termini di Pil dell’Ue (ora si attesta al 27%). Una minore quota della ricchezza destinata al welfare è il frutto di comportamenti assai diversi dei singoli Paesi (la più alta in Francia con 32%, seguita da Austria e Italia con il 30%, Germania con il 28%, mentre la quota più bassa è dell’Irlanda con l’11%, preceduta da Malta e dai Paesi baltici con valori intorno al 15%, fonte Eurostat). Questi divari delineano profili di protezione sociale sbilanciati verso alcune funzioni (in Italia è quella della vecchiaia e superstiti, più del 60%, mentre nei Paesi nordici prevale quella della salute e disabilità, più del 40%). Insomma, alla vigilia di un nuovo Europarlamento, si affaccia con urgenza il dover conciliare una maggiore compattezza sociale con un mercato unico più evoluto e più competitivo per non rimanere indietro sulla scena mondiale.

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