Le Olimpiadi e il Paese
che non sa fare squadra

di Marco Gervasoni
Giovedì 2 Agosto 2018, 22:45
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In questa canicola sentir parlare di Olimpiadi invernali può regalare sollievo, ma osservando quanto sta accadendo ci sentiamo raggelati. Una confusione senza pari: ripicche, dispetti e sgambetti tra le tre città coinvolte - Milano, Torino e Cortina - che rischiano seriamente di minare la possibilità dell’Italia di avere i Giochi, tanto più che una delle candidate alternative è Stoccolma. In Svezia ci sarà pure un ampio dibattito, ma intanto non si stanno dividendo e tutti, compresa l’opposizione, spingono per l’obiettivo comune. Invece in Italia, per l’ennesima volta, assistiamo alla vocazione autolesionistica delle classi dirigenti e politiche, in questo caso anche locali, che piuttosto di far «vincere» un altro comune italiano preferiscono favorire indirettamente un altro Paese. 
Vincere? Una parte di opinione pubblica appena sente la parola «olimpiadi» si ritrae. È un sentimento trasversale ma presente soprattutto in una forza politica, il Movimento 5 Stelle, come abbiamo visto nella vicenda della candidatura di Roma alle Olimpiadi. Ora ospitare i Giochi, generali o invernali, non è la panacea che risolve tutto. Ma resta una palma ambitissima da ogni Paese: se le Olimpiadi fossero così inutili, ci dovrebbero spiegare alcune cose. 
Ad esempio come mai Xi Jinping e Macron si siano battuti per averle, o Putin e Trump per avere i mondiali di calcio. Ospitare un’Olimpiade o un gara sportiva mondiale non porta solo ricchezza e investimenti, che poi significano concretamente lavoro per molti. Vuol dire, da sempre, ma in modo particolare oggi, nell’epoca in cui è tornato il grande confronto tra le nazioni, dotarsi di un’importante spinta geopolitica sul piano internazionale. 
Quando, per fortuna, tutti hanno ricominciato a parlare di interesse nazionale, dobbiamo perciò dire che ottenere un’Olimpiade rafforza questo interesse, e non solo quello della città ospitante. Purtroppo in Italia l’interesse nazionale è indebolito da due fattori: l’atavico campanilismo e la presenza asfissiante della politica, cioè dei politici e dei loro interessi, spesso di parte (come è normale) e ancor più spesso di breve gittata. 
Il caso della baruffa tra Torino, Milano e Cortina rientra perfettamente in questi due casi. Il campanilismo: tre aree, Piemonte, Lombardia e Veneto, tutte ricche di una forte identità locale. Il nostro Stato è nato, nel 1861, centralista e centralizzatore: ma forse non lo fu abbastanza, se ancora dopo tanto tempo permane la coltivazione di interessi locali, sacrosanti ma non finché frenano quelli nazionali. E poi il ruolo della politica. 
Ne ha parlato su queste colonne ieri Mario Ajello, e non è il caso di ritornarci: Sala che vuole scalciare il governo giallo-verde, Appendino alle prese con l’ostilità della sua base (con la «grana» Tav da far digerire, come ci auguriamo) e, nel governo, i 5 stelle che lamentano l’eccessivo peso della Lega, con il Veneto di Zaia. Non sarebbe allora meglio, a questo punto, puntare su Cortina? Che ha già ospitato due volte, nel 1944 e nel 1956, i giochi invernali, mentre più recente, del 2006, è l’esperienza torinese. Quanto a Milano, essere la sede del Comitato olimpico rende difficile proporre la sua unica candidatura, che altrimenti sarebbe la più logica. 
Ma la vicenda, che speriamo non si concluda in un disastro, è un banco di prova anche per l’esecutivo. Per i 5 stelle, un’occasione per diventare adulti: ora che sono una forza di governo e auspicano restare tali, devono abbandonare la cultura del no a prescindere. Ma è anche un test per la nuova Lega di Salvini, che aspira ad essere una forza nazionale desiderosa di tutelare l’interesse nazionale - un compito che per ora, nell’ambito dell’immigrazione, sta assolvendo. 
Ma essere partito nazionale vuol dire anche, in alcuni casi, scontentare o almeno ridimensionare le aree geografiche in cui si è nati, si è cresciuti e si è politicamente imponenti. Governare è doloroso, ma è una strettoia in cui devono passare tutte le forze politiche che non vogliono finire per essere ricordate come velleitarie meteore.
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