La strategia del quieto vivere e la tolleranza sulle nozze trash

di Fabrizio Coscia
Martedì 25 Giugno 2019, 00:00
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Scene da un matrimonio (abusivo) a Montesanto. Gli sposi incedono dal fondo di una strada ricoperta da un lungo tappeto bianco, fiancheggiata da decori floreali improvvisati sull’arredo urbano, poi si fermano, mentre qualcuno invita a fare spazio, e si baciano accolti da un’ovazione. Dopo le nozze trash di Tony Colombo a piazza del Plebiscito, i matrimoni tornano a occupare le strade pubbliche della città, senza autorizzazione e in spregio a qualsiasi regola. Il video, che circola sul web da un paio di giorni, mostra anche le condizioni in cui è stata lasciata la strada dopo la cerimonia, tra rifiuti e resti di addobbi svolazzanti. Napoli, si sa, ha una vocazione teatrale, ma qui siamo di fronte a qualcosa di diverso. 

In un famoso saggio della fine degli anni Cinquanta, «La vita quotidiana come rappresentazione», il sociologo americano Erving Goffman metteva in rilievo un aspetto che mi sembra fondamentale per interpretare nel modo giusto le nozze di Montesanto: il patto sociale che regola le «rappresentazioni del sé» (oggi si chiamerebbero i «selfie») presuppone un pubblico che rifiuti qualsiasi azione, qualsiasi discorso tenda a stralciare le basi di quel patto implicito. Un pubblico consenziente, cioè, o che sia disposto a chiudere un occhio, anche quando la rappresentazione perde credibilità, purché questa strategia garantisca il mantenimento della pace. In altre parole: il matrimonio trash prevede degli attori - gli sposi - che impongono una immagine di sé, del loro status, capace di convincere gli altri ad accettare quella che Goffman chiama la loro «definizione della situazione» e ad accettarla, per quieto vivere, anche quando questa situazione tende a degenerare. E qual è questa definizione della situazione, nel nostro caso? Una «napoletanità» ridotta a becero folclore, a ostentazione di un potere arrogante, ma tollerato per quieto vivere, appunto, e perché fa tanto «colore locale». 

Gli sposi novelli che si baciano, in piedi sul tappeto bianco, in una strada chiusa al traffico illegalmente, ci stanno dicendo che quella strada è di chi se la piglia, perché non è di nessuno. E chi se la piglia sta dando una «rappresentazione del sé» che incoraggia (obbliga?) gli altri ad accettarne il patto implicito, a far finta di niente anche quando perde di credibilità. 

Ma chi è il vero pubblico che autorizza, di fatto, questa «definizione della situazione»? Non le donne gesticolanti, la folla che riprende le immagini con il telefonino o applaude il bacio degli sposi (anche loro, infatti, fanno parte della recita). Il vero pubblico sono le istituzioni che latitano, e che con la loro assenza, inerzia, tolleranza, consentono l’impunità e l’illegalità; ma pubblico consenziente siamo anche tutti noi che col nostro silenzio, la nostra omertà culturale, permettiamo che questa sguaiata rappresentazione della napoletanità continui ad andare avanti, trasformando la nostra città nello scenario del peggiore dei docu-reality.

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