Le solitudini di agosto ​e le mani tese della città

di Andrea Di Consoli
Martedì 17 Agosto 2021, 00:00
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In agosto Napoli accresce quella sensazione di smarrimento che Jean Paul Sartre definì “spaesamento”. Il caldo, gli odori forti di cucina, la debolezza che procura l’afa e i corpi più esposti fanno sentire addosso un erotismo decadente e morboso, una sorta di malinconia per la carne che invecchia, e appassisce. 

Il corpo di Napoli sarà sempre giovane, e dunque per invecchiare in questa città bisogna essere forti e non temere la solitudine, perché l’erotismo dell’eterna giovinezza di Napoli travolge e annienta con crudeltà. 

In agosto Napoli è bellissima, ma per chi è in pace con se stesso, per chi è felice; sennò morde alle gambe e toglie il respiro, perché Napoli è città tellurica, sorgiva, di erotismo primordiale, e se non si è forti si rischia di vacillare, di fermarsi per strada smarriti, improvvisamente colti da quell’atroce sensazione che si prova quando ci si sente esclusi dalla vita. 

La solitudine ad agosto percorre la città da su a giù, ma si nasconde, perché il napoletano, che pure sembra esporre spudoratamente le sue emozioni come il commerciante la sua merce su un bancone, in realtà è pudico, si vergogna, stringe i denti, minimizza, finge di ridere e dice che sono “cose di niente”, ma la solitudine e il dolore non sono “cose di niente”, ma ferite, coltellate, pianti in gola che non si possono mostrare, nella città del sole dove nessuno vede il dolore di chi è costretto da secoli alla commedia. 

La solitudine uno la immagina nei quartieri bassi, a Forcella, alla Sanità, ai Quartieri spagnoli, oppure nell’incandescente e desolato “hinterland” che non ha nemmeno l’onore, a volte, di essere considerato Napoli.

Ed effettivamente cresce maggiormente nelle case piccole, nei micro appartamentini affollati, tra le famiglie numerose, le persone anziane, i malati, i poveri; ma non è meno solitudine la solitudine a Posillipo, al Vomero, all’Arenella, anche se si allunga minacciosa in grandi case borghesi, magari vuote, perché ci si è separati, o i figli sono andati via, oppure, semplicemente, perché non si ha più nessuno con cui parlare, e la vita è scandita da riti mesti e solitari. 

È difficile parlare di solitudine a Napoli, perché questa deve essere, finanche contro la sua volontà, la città della coralità, dei corpi affollati, delle famiglie numerose, delle calche; e invece no, non basta negarla per non vederla, la solitudine, sopratutto in agosto, quando sembra che tutto il mondo sia felice.

Appena più in là ci sono infatti i paradisi dei ricchi: ci sono Capri, Ischia, la Costiera Amalfitana, e quando si è soli si pensa alle loro feste, alle coppie che si baciano, alle famiglie raccolte in un ristorante di lusso. E fa male, perché chi è felice te la sbatte pure in faccia, la sua felicità.

I poveri sono più poveri, in agosto; e anche i malati sono più malati. Il maggior numero di telefonate al pronto soccorso, in agosto, arriva dagli anziani. Sono disperati, si sentono male, ma non hanno bisogno di flebo e di medicine, ma di amore – ma l’amore non si trova, al pronto soccorso. Nella città della commedia e del sole il dolore si deve nascondere, seppellirlo con una risata. Ma Napoli è stanca di maschere e di finte risate, e sente il bisogno di svelarsi nella sua nuda normalità. I condomini moderni non sono più i vicoli colorati e festosi di Giuseppe Marotta, anche se i turisti vengono e non vogliono altro che rivivere per qualche giorno un finto racconto bozzettistico di Marotta. Pure questo è normalità: ammettere la solitudine e uno spaesamento “moderno” nella città corale. In questi giorni chi al Comune si occupa di anziani e di bambini non accompagnati è in giro per rendere meno dolorosi i morsi della solitudine. Per non parlare dei volontari e della Comunità di Sant’Egidio, che a Ferragosto ha dato un pranzo e una cena a chi non ha nessuno. Le cronache raccontano molto le feste e gli eventi blasonati delle persone note che affollano le Isole e la Costiera, ma poco raccontano quanti portano una carezza, una medicina, un pasto a chi – ripeto, dal Vomero a piazza Garibaldi – è nella trincea dell’infelicità. È difficile ammettere di stare male nella città dell’eterna giovinezza, della risata e dell’erotismo viscerale. Non è “cosa di niente”, questo dolore. È cosa vera e dolorosa. Ammetterlo è non solo un diritto, ma una liberatoria emancipazione da chi continua a vedere Napoli ferma a Di Giacomo e Marotta.

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