Raid dei teppisti e immondizia, ​città amata solo a parole

di Gigi Di Fiore
Mercoledì 13 Settembre 2023, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Difficile non condividere la reazione dell’assessore Vincenzo Santagada che, commentando l’incendio appiccato nella notte a un furgoncino del servizio giardini nella Villa Comunale, ha parlato di «città senza rispetto della cosa pubblica». È cosi, Napoli appare sempre più una metropoli dove ognuno si inventa le proprie regole di convivenza, dove lo stare insieme sembra solo una somma di egoismi. Piccoli esempi, che sembrano poca cosa, danno la misura del caos in cui ci dibattiamo: auto guidate a retromarcia in tangenziale per fare benzina, opere d’arte imbrattate alla stazione della metropolitana di Salvator Rosa, graffiti continui di improbabili artisti che riempiono di sgorbi monumenti e mura cittadine.

Si dirà, ma guardi a queste cose, quando siamo alle prese con una violenza giovanile in aumento, con gruppi di camorra cittadina che prosperano sempre in piazze di spaccio e riciclaggi di capitali nelle nuove attività turistiche. Eppure, proprio partendo dall’anarchia dei comportamenti che ha preso piede in città spiega come proprio questo sia l’habitat ideale per le grandi illegalità e la violenza del “faccio come voglio”. 

Sei anni fa, il Censis avvertì che a Napoli «il senso civico e la legalità sono deficitari», legando le due cose. Insorse l’allora sindaco Luigi De Magistris, rivendicando il feticcio dei «beni comuni» gestiti da gruppi e associazioni, associato alle marce, i flash mob sulla legalità organizzati spesso da chi pensa che l’impegno di un paio d’ore, farsi vedere, esaurisca il senso civico di una città.

Purtroppo, non è così. E sul senso civico le analisi storico-sociali sulla frattura tra le «due città» non reggono più. È «deficitario» in tutti gli ambienti sociali, in tutte le culture profonde o meno. Si è persa proprio la cultura della convivenza, il trovare le ragioni dello stare insieme rispettando l’altro. Qualcosa che si impara in famiglia come a scuola. Ma sembra, come è, che queste due istituzioni siano in crisi, che il principio di autorità educativa sia stato soppiantato dall’egualitarismo dei social, dall’apparire virtuale che tutto rende possibile. 

Guardate per strada la sera i bidoni della raccolta indifferenziata dei rifiuti.

Nel giorno dell’indifferenziata i bidoni sono stracolmi, in quelli dell’umido appaiono semi vuoti o invasi da materiale che non dovrebbe starci dentro come le bottiglie di plastica. 

In troppi continuano a pensare che, per comodità, pigrizia, decidere quando vogliono loro, l’immondizia può buttarsi tutta insieme. Indifferenziata, appunto. Comodità e pigrizia, ma anche l’assenza di quella che una volta si chiamava a scuola educazione civica oggi abolita si trasformano in arroganza. Come i paletti che compaiono e scompaiono nei vicoli dei Quartieri dinanzi ai bassi per recintare il proprio posto auto, o la decisione privata non autorizzata di trasformare, con la benedizione e la benevolenza di tutti, via Emanuele De Deo patriota della Rivoluzione del 1794 in largo Maradona.

C’è forse eccessia confusione su cosa significhi senso di appartenenza a una comunità. Napoli dovrebbe essere prima di chi ci vive e poi dei turisti, ma a molti non appare più come la benevola «città balia» di cui parlava Fabrizia Ramondino, che abbraccia i suoi figli. Un senso di estraneità sta prendendo molti, il caos quotidiano figlio di un senso civico fantasma sta avendo la meglio. E dietro l’angolo ci sono sempre i soliti alibi: fanno tutti così, a certe cose deve pensarci l’amministrazione comunale, mancano i controlli, non c’è speranza. Ma possiamo arrenderci all’ineluttabilità di una metropoli sempre più ingestibile? 

Questione di cultura, ma anche di amore sempre più freddo per una città che sembra schiacciata da un masochismo che la riporta indietro. Ormai, pensiamo sempre più nella logica dell’io che prevale su quella del noi. E lontano sembra quello che, nel suo famoso discorso di insediamento, disse agli americani il presidente Kennedy: «Non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese». Ecco, pensando più in piccolo, potremmo chiedercelo anche a Napoli: cosa possiamo fare insieme per la nostra città, dal basso, senza chiedere sempre che debba farlo chi ci amministra? Sarebbe una modalità di ripartenza.

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