Non trattate De André come un santino

di Federico Vacalebre
Lunedì 17 Febbraio 2020, 23:00 - Ultimo agg. 18 Febbraio, 08:31
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Fabrizio De André, che oggi non ha compiuto 80 anni, perché se n’è andato prima, l’11 gennaio 1999, a quasi 59 anni. Fabrizio De André, rimpianto come Pasolini, come una coscienza critica che sarebbe stata preziosa soprattutto in questi tempi senza coscienza critica.

Fabrizio De André, che, proprio come il suo maestro Georges Brassens, oggi tutti tirano per la giacchetta. Lo chansonnier anarchico, anticlericale, misogino ma anche femminista, finì conteso in Francia, post mortem si intende, dalla sinistra, dalla destra, dal centro cattolico: la prima rintracciava in lui echi libertari e antiborghesi a lei cara, la seconda a fatica ne reclamava l’elogio dei tempi perduti, il terzo avvertiva temi evangelici nel suo solidarismo con gli ultimi. Ma irredimibile, come l’ortica in un campo coltivato, aveva cantato l’equidistanza tra lo zio petainista e lo zio antinazista, morire per delle idee va bene, ma almeno di morte lenta; aveva chiarito la sua distanza dalla brava gente che andava in chiesa e poi, nel chiuso delle proprie case, praticava una doppia morale; aveva messo in ballata il desiderio carnale, erotico, fine a se stesso.

Come il suo primo maestro, l’amico fragile genovese è ridotto dalla vulgata dominante come un santino, o quasi. È successo nei film e nelle fiction a lui dedicate, che ne hanno cancellato l’orgogliosa scelta di vivere in «direzione ostinata e contraria». Ricordato nelle sale cinematografiche dal docufilm di Veltroni che testimonia lo storico tour con la Pfm, il cantautore è troppo scomodo per una sinistra imborghesita come quella italiana, spaventata dall’uomo che disse «Non al denaro, non all’amore né al cielo», dall’anarchico proudhoniano, dal militante senza bandiera. Così Salvini cita «Il pescatore» e, addirittura, canta «Via del campo» in tv, senza sapere probabilmente che il primo brano, sia pur di derivazione evangelica, parla di un uomo che aiuta un assassino a scappare dalla legge, e che nel secondo la «graziosa» che «vende a tutti la stessa rosa» era Morena, nata Mario però. E anche in Italia, proprio come in Francia con l’uomo di «La mauvaise reputation», la Chiesa, almeno certa Chiesa, non solo quella schierata di don Gallo, ha adottato Faber come una voce a lei vicina, conscia del suo sentirsi dalla parte degli esclusi.
Eppure Fabrizio De André che oggi non ha compiuto 80 anni resta scomodo per tutti, a sinistra come un compagno mai irregimentabile; a destra come un alieno che stava con gli zingari, i travestiti, i pacifisti, i bombaroli, le puttane, gli indiani, i drogati, gli alcolizzati, i senzapatria, i comunisti, i carcerati; per la Chiesa come un non credente che preferì mettere in musica i Vangeli apocrifi piuttosto di celebrare quelli ufficiali, che amò Cristo ma come «un rivoluzionario, che ha combattuto per una libertà integrale».

Uomo libero e libertario, o almeno uomo che cercò disperatamente di essere libero, confessando di aver vissuto, bevuto e amato «sulla cattiva strada», maestro assoluto della canzone d’autore italiana che aprì a suoni etnici in barba ai dogmi del momento, Fabrizio De André che oggi non ha compiuto 80 anni resta vivo non nella retorica dei politicanti alla ricerca di consensi fuori tempo massimo, ma quando la sua calda voce torna ad aspettare «domani per avere nostalgia», inseguendo solo e soltanto la «signora Libertà» e la «signorina Fantasia», «così preziosa come il vino, così gratis come la tristezza».
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