Pnrr, la spinta necessaria per non arenarsi

di Enrico Del Colle
Giovedì 30 Marzo 2023, 00:00 - Ultimo agg. 06:01
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Ormai è abbastanza chiaro che l’Italia deve imprimere una vigorosa spinta al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ciò appare evidente dalla posizione espressa recentemente dalla Corte dei Conti che nella relazione annuale ha posto in luce una tangibile debolezza progettuale coniugata con una cronica lentezza nella selezione dei progetti da finanziare. 

A questo non proprio incoraggiante quadro si affiancano le puntuali parole del commissario Gentiloni - che sollecita il nostro Paese ad una accelerazione proprio ora che si è allontanato (speriamo definitivamente) il rischio di entrare in recessione – e quelle autorevoli e sempre incisive del presidente Mattarella, il quale si rivolge a tutti gli attori coinvolti nel Pnrr (ministeri, enti locali e aziende) affinché facciano la loro parte. Poi ci sono gli indicatori a confermare questa incerta situazione: fino ad ora la spesa ha riguardato soltanto il 6% dei fondi stanziati e per raggiungere gli obiettivi calendarizzati entro il prossimo giugno c’è ancora strada da fare (per ora è stato conseguito solo il 10%). 

Dunque, la questione è estremamente complessa e delicata perché non possiamo lasciarci sfuggire l’occasione di ammodernare il Paese con le risorse del Piano. A questo punto non è superfluo sottolineare come i tempi di realizzazione delle opere pubbliche rivestano un ruolo molto importante ai fini del monitoraggio degli investimenti pubblici e del loro buon esito. Su tutte le fasi che portano all’attuazione di un’opera si possono effettuare analisi in grado di fornire informazioni utili per orientare in modo più efficace gli interventi: ad esempio, quali sono i “passaggi” temporalmente più lunghi e quanto incidono sull’intero percorso del provvedimento? Il costo di un’opera pubblica rappresenta il principale elemento in grado di influenzare la sua durata: infatti, nel Paese, si va da meno di 3 anni per i progetti con una spesa inferiore ai 100mila euro a oltre 15 anni per i lavori con un valore superiore ai 100 milioni (fonte Agenzia per la Coesione territoriale, i dati riguardano la situazione esistente prima del Covid, ma li riteniamo ancora un buon punto di riferimento), con un tempo medio di realizzazione pari a circa 4 anni e mezzo; c’è poi da tenere presente che tali tempi comprendono le tre fasi essenziali, ovvero la progettazione, l’affidamento e l’esecuzione (dove le fasi di progettazione ed esecuzione “coprono” in parti pressoché uguali quasi il 90% del tempo complessivo).

Inoltre, ci sono altri fattori che differenziano i tempi di attuazione, con riferimento all’Ente attuatore e al territorio.

Nel primo caso registriamo buone performance per le regioni e per i comuni con meno di 50mila abitanti (circa 4 anni), mentre mostrano maggiore “pigrizia” i comuni con più di 100mila abitanti e i gestori di reti (Anas, ad esempio), con tempi medi superiori ai 6 anni. Il territorio non sembra, invece, presentare eloquenti diversità: le macroaree (Nord, Centro e Sud) hanno tempi di realizzazione simili al dato medio nazionale, con il Sud leggermente più “rapido” nella fase esecutiva (in media 15 mesi) e il Nord nell’affidamento (6 mesi). Quindi, nel non trascurare il fatto che stiamo parlando di medie – pertanto, restano “nascoste” possibili situazioni più distanti tra loro – appare certo come sia il costo a determinare le “dilatazioni” più marcate.

Ci si deve, perciò, interrogare come e cosa fare per gestire nel migliore dei modi questi “tempi di attesa”, cercando di ridurli (un possibile aiuto potrebbe venire da un massiccio reclutamento di personale qualificato negli Enti locali anche se i dati del Mef registrano uno scarso appeal a causa dei contratti a temine e dei bassi salari) e/o provando ad avere una maggiore duttilità da parte dell’Ue circa i tempi di attuazione (è quello che il ministro per il Pnrr, Raffaele Fitto, sta cercando di ottenere, visto che i relativi i costi e le modalità erano stati fissati prima del conflitto in Ucraina e delle sue conseguenze, soprattutto, in termini dei prezzi delle materie prime). 

Comunque, un impulso positivo dovrebbe provenire dalla recente approvazione in Cdm del nuovo codice degli appalti che, in continuità con i decreti Semplificazione del 2020 e del 2021, inciderà sulla contrazione dei tempi di affidamento (anche se, come detto, rappresentano non più del 10% del percorso dell’opera) e, si auspica, anche su quelli di sviluppo progettuale. Insomma, le difficoltà non mancano – tra l’altro, qualche giorno fa c’è stato un rinvio alla fine di aprile per la verifica da parte Ue del raggiungimento degli obiettivi 2022, dovuto ad alcuni contestati dossier (ad esempio, quello delle concessioni portuali), in modo da sbloccare la terza rata da 19 miliardi – e per rimediare serve al più presto una velocizzazione della spesa estesa a tutte le 6 missioni in cui è articolato il Pnrr. 

Perdere parte dei finanziamenti provocherebbe un enorme danno al Paese, dobbiamo e possiamo recuperare.

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