L'intesa Pd-M5S e la foglia di Fico ​sulle esigenze di Napoli

di Massimo Adinolfi
Martedì 14 Luglio 2020, 00:00 - Ultimo agg. 14:55
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Se per la Raggi Beppe Grillo compone lirici sonetti (un po’ sgangherati, per la verità), cosa gli suggerirà l’estro poetico, quando dovrà sostenere la candidatura di Roberto Fico a sindaco di Napoli: una ballata, un madrigale, una «chanson de geste»? Sarebbe una trovata geniale. Ma quali sono, con precisione, le gesta che sarebbero cantate?

La partita delle Regionali non è ancora neppure cominciata, ma già i partiti guardano all’appuntamento successivo, quello che porterà al voto le principali città italiane: Roma, Milano, Napoli, Torino. Il motivo è semplice: la fase politica aperta dalla formazione del Conte bis ha un senso solo se riesce ad andar oltre lo stato di necessità che ha spinto Pd e Cinque Stelle l’uno nelle braccia dell’altro. 

Non è facile, ovviamente, perché fino al giorno prima per il Pd i grillini erano populisti della peggior specie, e per il Movimento i dem erano l’emblema della Casta, corrotta e ladra. Ma la politica è fatta per cambiare le cose, o, più spesso, per esserne cambiati. Non senza dolore e patimenti: il Pd ha subito qualche scissione (Renzi e Calenda), mentre i 5Stelle han subito qualche rovescio elettorale. E rinunciato, almeno per il momento, ad esprimere una chiara leadership. 

C’è poi da capire se l’esperimento abbia significato per i riformisti diventare un po’ più populisti o per i populisti diventare un po’ più riformisti (o forse, semplicemente, ragionevoli): sospendiamo il giudizio, in spirito di benevolenza.

Fatto sta che al termine di questo processo dovrebbero sbocciarne i frutti. Il primo doveva essere l’alleanza alle Regionali, perché perdere le elezioni alle amministrative del prossimo autunno può avere contraccolpi sul governo. Vedremo nelle prossime settimane se a Zingaretti riuscirà di chiudere qualche accordo. Ma poi ci sono le Comunali e infine il frutto proibito del Quirinale: anche se pare ormai difficile metterli tutti in fila e far filotto, non è da politici navigati come Franceschini, nel Pd, fermarsi al primo ostacolo. E dall’altra parte c’è chi (per esempio Spatafora, o lo stesso Di Maio, sebbene più defilato) s’è fatto consapevole che i Cinque Stelle devono ormai ammainare le bandiere della rivoluzione, ed entrare con tutti e due i piedi nei giochi della «politique politiciennei». Nella logica degli schieramenti, delle coalizioni, e delle relative lotte di potere.
Quindi, lo schema è questo. Alleanze di centrosinistra (un nuovo centrosinistra, va da sé) e divisione dei compiti. A Napoli i Cinque Stelle, che forse raccolgono più facilmente voti demagistrisiani in libera uscita, a Milano invece Beppe Sala, che meriterebbe la conferma, mentre a Roma e Torino si vedrà: nomi di società civile, per esempio. In ogni caso, se Fico libera la poltrona della presidenza della Camera, ci può salire il potente ministro dem Franceschini, e di lì puntare al Quirinale (mentre Di Maio avrebbe un alleato in più per riprendersi il Movimento).

Questo è lo schema. Ora, però, parliamo della grande assente, cioè di Napoli e del suo bilancio al limite del dissesto. Perché tutti i ragionamenti che si fanno in queste ore – le ipotesi, le proposte, i patti – prescindono bellamente da una riflessione sullo stato della città, sulla condotta amministrativa di questi anni, e soprattutto sulle competenze gestionali che sarebbe necessario mettere in campo per marcare una netta discontinuità con la stagione arancione. È una riflessione che andrebbe messa in prospettiva storica, ma sarebbe troppo chiedere. Più prosaicamente – senza dunque i lirismi vernacolari di Grillo – la domanda che i partiti dovrebbero mettere in cima alle loro preoccupazioni dovrebbe essere: che sindaco vogliamo? E di seguito: cosa deve saper fare? Dove dovrà mettere mano? Quali servizi hanno bisogno di essere riorganizzati? Come si pensa di far fronte all’enorme difficoltà finanziaria? Come si converte il consenso in azione riformatrice di governo? Come si riordina la macchina comunale? Se il punto di caduta dei ragionamenti che si vanno facendo nelle segrete stanze (i grillini fanno tutto a porte chiuse, ormai) è Roberto Fico, detto con tutta la simpatia del mondo e il rispetto per l’alta carica: non avremo, nel caso fosse eletto, nessun arretramento sul tema dei diritti civili, e l’acqua rimarrebbe pubblica. Fico andrebbe orgogliosamente in autobus a Palazzo San Giacomo così come è andato in autobus da Termini a Montecitorio (il primo giorno; gli altri, a quanto pare, no), ma gli autobus, poi: saprebbe metterli per strada?

Il Presidente Fico mi perdonerà, se lo prendo a esempio. In un mondo di specialismi, nessuno deve saper far tutto e certamente lui, come altri, potrà circondarsi delle migliori intelligenze e competenze. Ma è un fatto che non si è partiti di lì, che la discussione sembra riguardare solo il modo in cui comporre ambizioni personali e disegni politici generali, come scavallare il secondo mandato nel caso di Fico, come riacchiappare il Movimento per Di Maio (con Conte o senza Conte), come rimanere in sella fino al ’22 per il Pd (con vista sul più alto Colle). Ma Napoli, il suo buco di bilancio? Chi ci pensa, Beppe Grillo?
 
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