SE LA CAMORRA CORRE E LA CITTÀ RESTA FERMA

di Giuseppe Montesano
Sabato 23 Aprile 2016, 00:57
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Le cifre sono terribili e nude: due morti e tre feriti, ieri sera nella Sanità, nel cuore della città. Spari, grida, urla, pianti di bambini e sgomento degli abitanti: è la scena alla quale non vogliamo abituarci, ma che si ripete senza sosta. È la camorra, che non smette di agire e non smette di uccidere, che sembra rigenerarsi dal proprio stesso sangue, che non si ferma di fronte a nulla, che crede di avere ogni diritto. E noi? E noi che camminiamo per le strade, che prendiamo le metropolitane e gli autobus, noi siamo costretti ad avere sempre la solita paura. E quel senso di nausea profonda che ti prende quando l’assurdo si materializza nella realtà. Vengono in visita ministri e presidenti del consiglio, promettono svolte epocali e se ne vanno: e la camorra resta, e cresce, e ingrassa. Tre morti e due feriti: sembra di stare in una città assediata del Medio Oriente, di vivere in mezzo a bombardamenti e a cataclismi, e invece siamo in una città meravigliosa che non possiamo smettere di amare e che disperatamente cerca di sottrarsi alla metastasi camorristica.

Che dire? Forse è il momento di sottrarsi all’ipnosi in cui il sangue sparso dalla criminalità organizzata ci tiene, e sottrarci allo sconforto guardando al di là del fatto di ieri sera, al di là di quella che non può essere vista solo come emergenza. Forse oggi bisognerebbe ripetere le parole che furono scritte su queste pagine quasi quarant’anni fa, parole che nascevano allora da una tragedia che coinvolgeva tutti, quel terremoto del 1980 che mise a nudo l’incapacità e la corruzione delle vecchie istituzioni politiche e amministrative: «Fate presto»! Ma le nuove istituzioni devono fare presto a fare cosa? Devono fare presto a bonificare il terreno sul quale la cultura della camorra continua trionfante a crescere, a moltiplicarsi e a propagarsi. La camorra va inseguita e perseguita nei suoi affari economici, e nelle manifestazioni criminali: ma va anche aggredita dove si nasconde in profondità, nella cultura perversa che la camorra offre in eredità ai suoi figli, quei figli che sono poco più che bambini.

Una delle iniziative perché questa sorta di nuova anticamorra culturale diventi pratica è sorta dall’associazione Popolo in cammino, che ha proposto di tenere aperte le scuole di pomeriggio già da questa estate, come luoghi che nei quartieri difficili tentino di essere luoghi alternativi a quelle famiglie in cui si tramanda la cultura camorristica. Chi conosce davvero il territorio inquinato dalla camorra, sa che perché un progetto del genere possa funzionare, alle scuole serve protezione da parte delle forze dell’ordine, serve una cultura realmente alternativa anche nei modi e nelle forme a quella dell’illegalità, e servono insegnanti o altri operatori non costretti da burocrazie e burocratismi a dare il loro contributo, ma che siano spinti dalla loro libera scelta e dalla possibilità di trasformare completamente l’approccio con i ragazzi.

Ma per fare questo non ci vogliono solo idee, ma investimenti, e investimenti che vengano da quel tavolo intorno al quale, nella sala intitolata a Giancarlo Siani, si sono riunite le istituzioni cittadine e regionali con la prefettura. A quelle istituzioni diciamo che gli investimenti ci vogliono subito: altrimenti i tavoli diventano tavolini spiritici, dove si evocano solo gli spettri del politichese. E quindi lo ripetiamo: fate presto. E fate bene, dobbiamo aggiungere visti i precedenti. Si avvicina l’estate con la sua voragine, con lo specchietto per le allodole fatto apposta per i ragazzini di una festa eterna, salvo a scoprire che negli infernetti delle periferie desolate e assolate non ci sono feste eterne ma solo violenza, odio, sopraffazione, crescita esponenziale della cultura della camorra, moltiplicata dai social di cui la camorra ormai si serve.

E allora l’urgenza è evidente: o siamo ciechi e sordi? E non importa se un progetto che è ambizioso, e che certo andrà pensato e ripensato e rimodulato attentamente, si realizzi per ora solo parzialmente: importa cominciare, importa sapere che la cultura non è uno «sfizio» ma una necessità, importa capire l’urgenza di agire. I soldi non ci sono? Se qualcosa è considerato importante i soldi si trovano: quello che davvero serve è rendersi conto che sono necessari dei segnali.

Purtroppo la cultura camorristica occupa la scena quasi da sola: film, serie, libri, media, tutti amplificano per motivi non sempre nobili la spettacolarità di quella cultura, e quelli che potremmo definire i «figli potenziali della camorra» sono inquinati da quella rappresentazione simile aun pensiero unico. È per questo che bisognerebbe aprire nel buco nero dell’estate dei luoghi in cui vedere e far vedere altre realtà: cercando di insegnare a leggere lo spettacolo camorristico in modo diverso. Le scuole sono luoghi reali e simbolici, e la loro forza sta in questo: ma devono essere considerate luoghi centrali dove rialfabetizzare le teste a una cultura della vita contro una cultura della morte. E agendo molto sulla pratica dello sport, che è gioco e divertimento, ma che insegna anche il rigore, il rispetto, il lavoro. Bisogna reinventare una pratica che «fa» le cose legalmente, e non si limita a predicare la legalità. Non è facile, ma è necessario.

Naturalmente ci vorrebbe anche una rappresentazione mediatica della camorra finalmente libera dalla spettacolarità che serve solo a vendere, e in cui gli aspiranti camorristi si rispecchiano gaudenti ed esaltati: ma questo è un altro discorso, anche se sarebbe tempo di farlo e di smetterla di parlare di film o serie o libri sulla camorra come di prodotti neutrali. Ora però si tratta dell’essenziale gesto in cui chi ha la responsabilità di amministrare i cittadini si prenda intera quella responsabilità: e cominci a fare. Non può farlo? Deve farlo. Non ha i mezzi? Deve trovarli.
Chi non fa subisce il fare degli altri: e la camorra fa, produce, agisce, insegna, tramanda. È ora che faccia anche chi crede o dice di credere che la camorra non è eterna o naturale come la pioggia e il sole. E allora, signori delle istituzioni, lo ripetiamo ancora una volta: fate presto, e fate bene.

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