Nando Santonastaso
segue dalla prima pagina
Ma dai numeri emerge, o meglio

Nando Santonastasosegue dalla prima paginaMa dai numeri emerge, o meglio
Venerdì 20 Novembre 2015, 23:49
5 Minuti di Lettura
Nando Santonastaso
segue dalla prima pagina
Ma dai numeri emerge, o meglio si rafforza, anche un'altra verità, ormai consolidata nelle analisi sulla condizione del Paese e soprattutto sul divario Nord-Sud. Nel Mezzogiorno il peso delle imposte, e non solo per via delle addizionali e dunque per l'effetto indotto dal calo dei trasferimenti dello Stato, resta più alto, soprattutto a livello comunale. È la conseguenza di un sistema - come spiega il professor Federico Pica, uno dei maggiori esperti in materia - «che per quanto riguarda le imposte dirette (Irpef e addizionali, ndr) resta poco progressivo al punto che l'eventuale abolizione totale della tassa sulla prima casa produrrebbe un gettito maggiore solo nelle aree più ricche dove, come si sa, la proprietà immobiliare è più rilevante». In secondo luogo, spiega ancora Pica, «proprio perché le imposte dirette non sono abbastanza progressive non riescono a compensare la regressività delle imposte indirette, dall'Irap all'Iva. Ne deriva in sostanza, come emerge dai Conti pubblici territoriali, che Iva e Irap colpiscono di più i consumi delle famiglie povere, sottraendo loro una maggiore quota di reddito. Ed è facile dimostrare, come anche di recente Istat e Inps hanno fatto, che la maggiore concentrazione di famiglie povere si trova nel Mezzogiorno». Stessa situazione per le imprese: in Campania, ad esempio, le imprese sono ancora costrette a pagare una maggiore aliquota Irap e meno male che, come indicato dalla Legge di Stabilità, quei livelli non sono aumentabili per effetto del piano di rientro dal buco della sanità.
Insomma, per essere ancora più chiari: visto che il Mezzogiorno è più povero, la contemporanea «presenza di un Nord tributariamente regressivo e di un Sud progressivo» contribuisce ad accrescere le diseguaglianze del Paese. Se esistessero sistemi perequativi, peraltro ampiamente previsti dalla legge sul federalismo fiscale, la questione potrebbe pesare molto di meno. Ma il fondo di perequazione è rimasto nel cassetto. E inoltre, fa notare lo stesso Pica, «i trasferimenti perequativi oggi sono considerati un disvalore, ma nell'articolo 53 della Costituzione, sottolineano, è scritto chiaro e tondo che il sistema tributario è unitario, anche se articolato territorialmente. Quindi, solo la ridistribuzione delle risorse potrebbe «spezzare il circolo vizioso che da sempre frena lo sviluppo delle aree più povere», anche perché «a parità di ricchezza, i cittadini meridionali pagano di più ma usufruiscono di servizi ben peggiori non in linea con i tributi versati».
A questo ragionamento, che è molto meno tecnico di quanto si può immaginare, va aggiunto il dato strutturale. Il taglio degli investimenti e della spesa pubblica nel Mezzogiorno che, di fatto, ha obbligato le amministrazioni comunali e regionali ad intervenire in termini di maggiori aliquote addizionali Irpef. «Nella spesa complessiva in conto capitale delle amministrazioni pubbliche la quota del Mezzogiorno è scesa al 34,1% nel 2013 (da 40,1%), sempre più indietro rispetto all'obiettivo programmatico del 45%» che era stato indicato come possibile «tetto» del riequilibrio finanziario territoriale.
Morale: se la domanda interna non riparte per via delle imposte locali e nazionali, sarà difficile accompagnare la ripresina che pure nel Sud si sta in qualche modo mostrando. Il problema, come spiega la Cgia, è sicuramente nazionale ma come spiegato in precedenza, il carico attribuito ad alcune imposte come l'Iva (autonomi e imprese devono versare allo Stato qualcosa come 12,3 miliardi di euro) si riflette maggiormente sui consumi delle aree più deboli. E il Mezzogiorno - nona caso lo ricorda il Rapporto Svimez - tra il 2008 e il 2014 ha subìto una riduzione catastrofica dei consumi per famiglia, ben 13 punti percentuali in meno, più del doppio di quella registrata nel resto del Paese (meno 5,5 per cento). Ma anche l'acconto Irap si farà sentire, pesando sulle aziende per ben 8,4 miliardi. Nella lista dei pagamenti rientra poi l'acconto Irpef, che imporrà ai lavoratori autonomi un esborso di 8 miliardi.
Il problema, peraltro, non sono solo le tasse da pagare ma anche tutta la burocrazia che le accompagna. Spiega Paolo Zabeo, coordinatore della Cgia: «A causa di un sistema fiscale ancora troppo frammentato nel nostro Paese sono necessari ben 34 giorni lavorativi per pagare le tasse. In altre parole, tra le code agli sportelli, il tempo perso per recarsi dal commercialista o per compilare moduli, registri e scartoffie varie, le imprese italiane impiegano 269 ore all'anno per onorare gli impegni con il fisco». Per cui, aggiunge, «agli importi ufficiali occorre sommare quasi altri 31 miliardi di euro all'anno» sotto la voce, appunto, «burocrazia».
Ma torniamo agli squilibri territoriali sulle tasse. L'ultima rilevazione di un fenomeno ormai evidente è arrivata pochi mesi fa dalla relazione del presidente della Corte dei Conti Raffeele Squitieri al Parlamento. «Il ricorso alla leva fiscale è molto differenziato sul territorio con una "regola distorsiva" che penalizza i territori con redditi medi più bassi ed economie in affanno», ha spiegato aggiungendo che «Irap e addizionali Irpef«sono mediamente più alte nel Mezzogiorno». Emblematico l'esempio citato da Squitieri: «Nel caso dell'Irap «i divari sono particolarmente pronunciati con quasi due punti (67%) fra la Calabria e provincia autonoma di Bolzano». Si tratta di differenze, ha sottolineato Squitieri, «che finiscono per colpire più pesantemente i livelli di imponibile più bassi» e le Regioni con «le realtà economiche più povere». Queste ultime, in particolare, «contando su una ridotta capacità fiscale del proprio territorio e costrette ad aumentare le aliquote per ripianare il deficit della sanità, finiscono per deprimere ulteriormente l'economia del territorio e la capacità di generare base imponibile. Un circolo vizioso che si concentra in misura particolare nel Mezzogiorno». Inoltre, le evidenze quantitative delle entrate, e i divari territoriali della pressione fiscale, sottolinea la Corte dei Conti, «sembrano testimoniare una mancanza di coordinamento fra prelievo centrale e locale». E questo - ha sostenuto Squitieri - nonostante la legge delega al governo sul federalismo (la 42 dell'ormai lontanissimo 2009, ndr) prevedesse «un vincolo di invarianza della pressione fiscale complessiva».
Il nocciolo restano comunque i tagli. Tra il 2010 e il 2014, i Comuni ne hanno subito per circa 8 miliardi, ricorda sempre la magistratura contabile, compensati da «aumenti molto accentuati» delle tasse locali «per conservare l'equilibrio in risposta alle severe misure correttive del governo». È per questo, dice la Corte dei Conti, che oggi il peso del fisco è «ai limiti della compatibilità con le capacità fiscali locali». Nell'ultimo triennio, inoltre, c'è stato un «incremento progressivo della pressione fiscale" comunale, passata dai 505,5 euro 2011 ai 618,4 euro pro capite 2014: i livelli massimi di riscossione tributaria si registrano nei Comuni con più di 250mila abitanti, dove arriva a 881,94 euro a testa».
Non è servita peraltro anche «la crescita dell'autonomia finanziaria degli enti». Secondo la Corte, non «sembra produrre benefici effetti né sui servizi, né sui consumi e sull'occupazione locale, in assenza di un'adeguata azione di stimolo derivante dagli investimenti pubblici». È per questo che l'unica strada alternativa, al di là dell'annunciato piano di riduzione delle tasse (senza peraltro intaccare il livello di qualità dei servizi pubblici che al Sud è mediamente scarso) resta una sola: l'equilibrio territoriale tra prelievo ed impiego, Progetto, dice la Corte dei Conti, «al quale è sicuramente funzionale la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, necessaria per superare definitivamente il criterio della ”spesa storica”». È uno dei punti-cardine anche della nuova Legge di stabilità, a riprova della volontà di mettervi mano. Resta però da capire come sarà annullato o progressivamente ridotto l'effetto-addizionali: per ora nessuno lo ha ancora intuito.
© RIPRODUZIONE RISERVATA