Rugby, morto J.P.R. Williams, l'estremo volante del Galles dorate: per mete e placcaggi lasciò il tennis, ma non la carriera da chirurgo. Il ricordo del principe William

L'asso gallese è morto all'età di 74 anni

Rugby, morto J.P.R. Williams, l'estremo volante dell'era dorata del Galles: per mete e placcaggi lasciò il tennis, ma non la carriera da chirurgo
Rugby, morto J.P.R. Williams, l'estremo volante dell'era dorata del Galles: per mete e placcaggi lasciò il tennis, ma non la carriera da chirurgo
Paolo Ricci Bittidi Paolo Ricci Bitti
Lunedì 8 Gennaio 2024, 23:29 - Ultimo agg. 10 Gennaio, 21:51
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Addio a J.P.R. Williams, l'estremo volante del Galles «che non sapeva cosa fosse la paura», come lo raccontava Carwyn James, un gallese che l'ha preceduto nella Hall of Fame del rugby mondiale. Paolo Rosi, invece, in bianco e nero e con voce arrochita, lo indicava «là dietro» lo schieramento dei Dragoni: «Ecco l'estremo medico, padre medico, madre dottoressa, una famiglia di medici» perché era sacrosanto ricordare che quei campioni sovrannaturali una volta smessa la maglia rossa con le tre piume bianche si mettevano sui libri dell'università o negli ascensori per le miniere di carbone. 

John Peter Rhys Williams, poi J.P.R.

per non confonderlo con un altro fuori categoria come John James Williams, aveva 74 anni e fino a poco tempo fa lo si vedeva alzarsi in tribuna al Principality Stadium di Cardiff per rendere grazie all'immancabile applauso dei fedeli, sempre elegante e senza affettazioni nei modi e negli abiti. Dagli anni Settanta il suono di quel "geipiar" (anche senza Williams) è l'incipit di una travolgente poesia: basta sentirlo e scattano i ricordi di memorabili slolom fra avversari e tuffi in meta.  

Williams è morto l'8 gennaio dopo una breve malattia, ha detto la famiglia in una nota rilanciata dalla Bbc che. come tutti media anglosassoni, ha subito affiancato la notizia a quella sulla scomparsa di Franz Beckenbauer.

«J.P.R. è morto serenamente dopo una breve malattia all'ospedale dell'Università del Galles: al suo fianco la moglie e i quattro figli, combattendo coraggiosamente una meningite batterica»

Williams ha debuttato nella nazionale di rugby a 20 anni nel 1969 dopo avere rinunciato a un futuro che si annunciava parecchio luminoso nel tennis: la racchetta finì sotto la sacca del Bridgend dopo la vittoria in un prestigioso torneo giovanile a Wimbledon e la conquista del titolo di campione giovanile britannico. Aveva 17 anni e aveva già deciso che sarebbe diventato un chirurgo ortopedico, così ritenne più agevole affiancare agli studi liceali e universitari la carriera di rugbysta.

Beh, una carriera agevole quanto stellare: giocò 55 volte per i Dragoni vincendo cinque Tornei delle Cinque Nazioni (3 Grand Slam). Con l'Inghilterra, in 11 partite, non ha mai perso: un record nel record. Poi anche due tour epocali con i Lions (8 presenze) vincendo le serie in Nuova Zelanda (1971) e Sudafrica (1974): sì, quella squadra in cui J.P.R. giganteggiava senza mai tenere su i calzettoni ha surclassato a casa loro prima gli All Blacks e poi gli Springboks. Del resto il telaio era tutto gallese, come ne "La" partita del 1973 in cui i Barbarians superarono gli All Blacks in tour al Nord segnando "La" meta. Della Golden Era del rugby gallese quell'estremo (5 volte capitano) era uno dei gioielli più sfavillanti.

Anche il principe William, patrono dell'Union gallese, gli ha reso omaggio con un post su X.

Infrangibile in difesa, inarrestabile in attacco (nel senso che non si riusciva a intercettarlo) tanto cambiava passo e velocità, J.P.R. Williams toglieva il respiro agli avversari e agli spettatori. E se c'era da rebberciare qualche compagno di squadra o avversario (allora non c'erano cambi) era lui a smettere di giocare per qualche minuto per ricamare a bordo campo qualche punto di sutura.

Una volta terminata la clamorosa carriera da rugbysta, quella altrettanto luminosa da primario in Ortopedia.

Ripensando alle sue galoppate, in anni in cui noi ovali italici manco potevamo sognare The Championship, viene solo da pensare alla bellezza di questo gioco se così rappresentato e che, sì, si stava meglio quando si stava peggio, meno muscoli e più cervello, meno scontri frontali e più istinto. E quando non esistevano le penal-touche e i reset delle mischie, il tmo, il bunker, sette cambi e quei dannati giocatori che corrono davanti al portatore di palla per nasconderlo alla vista degli avversari. 

J.P.R. Williams non ha avuto bisogno di tutto questo per giocare il rugby più bello di sempre.  

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