Migranti, dopo l'Albania quali sono i paesi che potrebbero ospitare hotspot? Ipotesi Tunisia, Niger e Burkina Faso

Tunisia, Niger e Burkina Faso. Così il governo vuole esportare il "modello Albania" sui migranti
Tunisia, Niger e Burkina Faso. Così il governo vuole esportare il "modello Albania" sui migranti
di Francesco Bechis
Mercoledì 8 Novembre 2023, 15:31
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Tremila migranti al mese. Due centri in un Paese extra-Ue, l'Albania, per identificarli e verificare chi ha diritto all'asilo e chi invece deve essere rimpatriato. Sgravando così i centri sovraffollati sulle coste italiane, da Lampedusa a Pozzallo. Il governo Meloni vede nel protocollo firmato con l'Albania qualcosa di più di un esperimento. Può diventare, forse, un metodo.

I prossimi passi

Tunisia ed Egitto, Niger e Burkina Faso. La creazione di hotspot posizionati al cuore dei flussi migratori diretti verso il Mediterraneo e l'Europa è un'idea che cova da tempo a Palazzo Chigi. Una partita difficilissima, certo, perché richiede diplomazia e contropartite da offrire ai Paesi di transito che vogliano farsi carico dei controlli.

Il patto di Tirana è il primo fischio di inizio. Chi al governo ha lavorato in questi mesi alla tessitura dell'accordo - la premier Giorgia Meloni, anzitutto, e poi i sottosegretari a Palazzo Chigi Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano - è convinto che possa essere un primo passo.

Appaltare a un Paese extra-europeo una parte delle verifiche sui migranti diretti in Europa. Costruire strutture d'intesa con i Paesi africani dove i viaggi della speranza, più spesso della disperazione, prendono vita grazie alle reti di trafficanti di esseri umani.

La deterrenza

"Il patto con l'Albania serve da deterrenza", spiega una fonte che ha seguito da vicino la preparazione del protocollo. Nell'immediato, servirà a far respirare il sistema di prima accoglienza italiano ancora sotto stress per i continui arrivi, seppur notevolmente diminuiti rispetto ai picchi di agosto e settembre. Nel medio periodo tuttavia l'obiettivo è un altro. E cioè segnalare a chiunque voglia affidarsi nelle mani dei criminali che gestiscono i traffici e solcare il Mediterraneo che raggiungere le coste italiane e riuscire a eludere i controlli sarà, d'ora in poi, ancora più difficile. Fatta eccezione per donne incinte, bambini e fragili, gli altri migranti intercettati nelle acque territoriali dalle navi italiane potranno essere trasferiti in Albania per effettuare le prime verifiche.

Un disincentivo in più per scoraggiare le traversate attraverso il Sahel e le centinaia di miglia che separano le coste nordafricane dalle spiagge sicule. Per questo non è esclusa una campagna di comunicazione sul piano albanese per diffondere la notizia tramite la rete di ambasciate italiane in Africa, proprio come si è fatto in occasione degli ultimi decreti sull'immigrazione. Di più: al governo sono convinti che il piano albanese possa diventare in un futuro non remoto "un modello". Da ripetere, se le condizioni lo permetteranno, in altri Stati africani ritenuti "sicuri" secondo il diritto internazionale. Così come in altri Paesi dei Balcani occidentali con cui l'Italia ha un rapporto privilegiato perché è in prima fila, tra i grandi Stati membri, a chiedere la loro adesione all'Ue.

Il modello Rama in Africa

Da Palazzo Chigi trapela cautela sulle prossime mosse. Sul patto italo-albanese, dopotutto, non si è ancora espressa la Commissione europea che solo ieri ha ricevuto il testo del protocollo e nel recente passato ha espresso dubbi, rispondendo alle richieste di altri Stati membri, come Austria e Danimarca, sul sistema dell' "Off-shore asylum", ovvero la possibilità di condividere con Stati extra-comunitari l'onere dei controlli per i migranti diretti in Europa. Il primo Paese nei radar del governo italiano è la Tunisia, da dove viene il grosso delle partenze dirette verso la Sicilia e la Calabria.

Sulla carta, l'Italia riconosce il Paese magrebino guidato da Kais Saied come "sicuro" e per questo si è fatta promotrice dell'accordo Ue per il controllo dei traffici illegali che negli ultimi mesi ha prodotto i suoi frutti con un drastico calo delle partenze a ottobre. Non sarà facile però convincere Saied e i tunisini a ospitare hotspot sul loro territorio dove "filtrare" le domande di asilo, con personale di sicurezza e diplomatico italiano presente sul posto, proprio come previsto dall'accordo tra Meloni e Rama. 

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