Si delineano i contorni di una storia di violenza odiosa, resa ancor più odiosa dall’essersi accaniti contro una ragazza fisicamente più debole. Il tutto, probabilmente, solo per il gusto di poter raccontare agli altri amici quella che per i tre calciatori dilettanti sardi - accusati dalla Procura di Roma di violenza sessuale di gruppo - era una bravata, una sfida, una medaglia di idiozia da appendere al collo. La vittima invece, che le medaglie d’oro, d’argento e bronzo le ha conquistate faticosamente sul campo, porta ancora i segni interiori di quella sera del 6 febbraio 2022.
Atleta abusata a Roma, la dinamica
Tutto è cominciato con la scusa di un selfie con la campionessa olimpionica, un simbolo dei valori dello sport nel mondo.
La difesa
Erminio Coni e Andrea Finotto (entrambi 38enni) e Alessio Costella (36 anni) negano le accuse. A ottobre si troveranno davanti al giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, che dovrà decidere se rinviarli a giudizio. A meno che non siano loro stessi a scegliere di essere processati allo stato degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, in modo tale da poter beneficiare - in caso di una eventuale condanna - dello sconto di un terzo della pena previsto dalla scelta del rito abbreviato. I tre imputati sono assistiti da avvocati differenti, proprio perché hanno posizioni processuali diverse. Uno di loro, per esempio, sostiene di non essersi mai alzato dal tavolo, né di aver fatto un selfie con la campionessa. Gli altri due, invece, sostengono che il locale quella sera fosse molto affollato ed essendo angusto il corridoio che conduce al bagno ci potrebbe essere stato un contatto involontario con la vittima.
Le telecamere presenti nel pub, a quanto pare, non erano funzionanti quel giorno. E, stando a quanto spiega uno dei legali, i testimoni a favore dell’atleta non sarebbero oculari, ma «de relato». Anche l’amica con la quale stava andando in bagno, precedendola, non poteva accorgersi - secondo la versione difensiva - di quello che era realmente successo.
Le ferite psicologiche
L’olimpionica è molto provata da questa vicenda, e ancora oggi non riesce a metabolizzare quello che le è successo quella sera di un anno e mezzo fa. Succede spesso così alle vittime di abusi sessuali: all’inizio per un meccanismo inconscio di autotutela psicologica si cerca di rimuovere l’episodio, per non soffrire. Poi però, con il passare delle settimane e dei mesi, i ricordi riaffiorano alla mente con prepotenza e non ci si riesce a capacitare di essere stati violati nella propria intimità.