Le incognite del piano B in Nord Africa

di Carlo Jean
Domenica 14 Giugno 2015, 22:02 - Ultimo agg. 15 Giugno, 00:05
4 Minuti di Lettura
La tragedia dell’immigrazione si è trasformata in baruffa politica sia in Italia sia in Europa. Non solo le autorità locali, ma anche i governi stanno bisticciando sulle quote di immigrati, che dovrebbero accettare secondo la ripartizione fatta dai governi nazionali per i primi e dall’Unione Europea per i secondi. È un nuovo caso di “sindrome Nimby”. Il problema non è facilmente risolvibile. Nessuno ha la bacchetta magica per trovare una soluzione. La conflittualità e l’esplosione demografica del Sud del Mediterraneo non sono contenibili. L’Occidente si sta leccando ancora le ferite dei tentativi di State building in Asia, in Africa e anche nei Balcani.



L’unica soluzione veramente definitiva consisterebbe nella pacificazione, nello sviluppo e - beninteso nel lungo termine - nel controllo della natalità, di cui si sente però ben poco parlare. La speranza che si installino nel Nord Africa governi disponibili a collaborare con l’Italia e l’Europa per frenare il flusso degli immigrati attraverso il Mediterraneo appare molto tenue. Il traffico di esseri umani è divenuto un lucroso affare, in cui sono coinvolte bande criminali e milizie.



La distruzione delle prime richiederebbe quella delle seconde. Meglio non insistere troppo al riguardo. Qualcuno potrebbe prendere sul serio la proposta. Restano sul tappeto opzioni limitate – o, come si dice nel gergo militare “chirurgiche” – su cui “strateghi da caffè” (e non solo politici in cerca di facili applausi) hanno fatto numerose ipotesi.



Il governo italiano, dopo aver formulato l’ipotesi ottimistica di un aiuto dell’Europa, ha dovuto prendere atto che ben difficilmente l’Ue si muoverà in misura sufficiente. I numeri prodotti sono ridicoli e si riferiscono ai soli rifugiati siriani e eritrei, cioè a una piccola percentuale di quelli che sbarcano in Italia.



L’attuazione delle misure previste dall’Europa potrebbero però attenuare un poco le polemiche da “guelfi e ghibellini”, consentendo al governo di sgombrare in qualche modo dagli immigrati stazioni e località turistiche. Non calmerà certamente le opposizioni. Esse hanno un gioco troppo appetibile. Possono proporre soluzioni miracolistiche, dato che poi non avranno la responsabilità di attuarle.

Quali sono le ipotesi su cui dovrebbe basarsi il Piano B di cui ha parlato Renzi? La più ricorrente è quella di un’operazione navale simile a quella effettuata contro i pirati della Somalia. Consisterebbe nell’affondare le barche degli scafisti prima che vi salgano gli immigrati, oppure in mare aperto dopo che gli immigrati siano stati trasbordati su qualche nave delle Marine europee mobilitate per l’operazione “Triton”.



Secondo l’opinione “politicamente corretta” dell’Unione Europea e del governo italiano, tale operazione sarebbe possibile solo con l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ma la Russia non ne vuole sapere e, verosimilmente, anche la Cina porrà il suo veto. L’Italia, per disperazione, potrebbe fare a meno dell’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, prendendo le distanze anche dai vertici poco collaborativi dell’Ue e procedendo in proprio. Per male che vada dovremmo rispondere alle proteste diplomatiche che ci saranno indirizzate e faremmo la figura dei cattivi, sollevando le proteste dei “buonisti”.



Ma di fronte a un’emergenza che non si sa come affrontare, tale decisione potrebbe rafforzare il consenso del governo o, quanto meno, neutralizzare le voci più critiche che lo accusano di non fare nulla e di non sapere neppure come fronteggiare l’ondata di immigrati. Beninteso, sarà difficile che gli altri governi europei che hanno inviato navi militari per l’operazione “Triton” collaborino con una decisione unilaterale dell’Italia. Meglio sarebbe comunque sbagliare da soli che aspettare che gli altri ci dicano come sbagliare.



Il problema non è però politico-diplomatico. Riguarda l’efficacia di una simile operazione. Il paragone fatto con le operazioni anti-pirateria sulle coste somale, che hanno avuto successo, non sembrano attagliarsi al caso dell’immigrazione dalla Libia. A parer mio, la distruzione dei barconi sia sulle coste libiche sia in mare sarebbe poco efficace. Sulle coste libiche i trafficanti non sono generalmente i proprietari dei barconi, ma li affittano per l’attraversata. Si dovranno affrontare le proteste dei governi di Tobruk e Tripoli, entrambi contrari all’intervento. Dovremmo comunque essere pronti a un’escalation contro le milizie legate alle bande criminali.



L’affondamento dei barconi in mare aperto sarebbe inefficace anche perché gli scafisti hanno già ricevuto il pagamento del viaggio via mare, che viene preteso nelle zone di imbarco e non in quelle di sbarco. Inoltre, si obbligherebbero gli scafisti a usare barche sempre più piccole, aumentando il numero di morti in mare che le opinioni pubbliche italiana ed europea non accettano più. Insomma, un’operazione militare limitata non risolverebbe il problema.



Ondate di migranti continueranno ad affollarsi sulle coste dell’Africa Settentrionale e in un modo o nell’altro riusciranno a raggiungere l’Europa. Come calmare l’opinione pubblica, allarmata dal fenomeno dell’immigrazione e che vuole due cose in contraddizione tra loro: non vedere i barconi rovesciarsi nel Mediterraneo, ma non avere neppure gli immigrati clandestini nelle stazioni e nelle strade. Come far quadrare il cerchio? Non si può far resuscitare Gheddafi, che non lasciava arrivare gli aspiranti immigrati sulle coste, ma li respingeva nel deserto, eufemisticamente costringendoli a rimpatriare. La creazione di regimi stabili in Africa settentrionale sembra superiore alle forze di un’Europa e di un’Italia tanto smilitarizzate anche culturalmente.



La costituzione di centri di selezione tra i rifugiati, con diritto di raggiungere l’Europa, e gli immigranti economici, che non lo hanno, è estremamente difficile e sicuramente non troverà la collaborazione di molti governi africani sia dell’Africa settentrionale sia del Sahel.



L’unica strada da seguire, per calmare i “buoni” da un lato e i “cattivi” dall’altro, sembra continuare a insistere, anche con scarse speranze di significativo successo, con gli altri Stati europei che hanno anch’essi i loro guai.