È steso supino sul pavimento della sua camera da letto. Le persiane alle finestre sono chiuse e le luci spente. Con difficoltà si riesce a mettere a fuoco quella sagoma che però è lì, immobile, con una ferita alla testa e un’altra alla mano sinistra come si vedrà poi. Non lontano dal suo corpo c’è un ventilatore sporco di sangue che verrà catalogato dalla Scientifica qualche ora più tardi, dopo che il medico legale costaterà il decesso. Sono le 19.35 di giovedì quando gli agenti delle volanti, attivati dal 118, arrivano a Circonvallazione Clodia. La polizia è stata chiamata dai sanitari per una morte “sospetta”, quella di Massimo Manni, 61 anni, regista televisivo di La7, noto nell’ambiente per aver diretto le prime edizioni del programma “Otto e mezzo”, che da ore non rispondeva più ai familiari. Da anni viveva senza nessuno e pare condividesse la sua solitudine con alcol e droghe come hanno riferito i due fratelli. Giovedì si sarebbe dovuto incontrare con una di loro ma all’appuntamento non è mai arrivato.
Massimo Manni, il regista di La7 trovato morto a Roma nel suo appartamento: si indaga per omicidio
LA DINAMICA
Da qui le ricerche dei familiari che in serata, non riuscendo a contattarlo, sono arrivati di fronte a quell’appartamento al piano terra provando ad entrare ma non gli è stato possibile: le chiavi che avevano non giravano, la porta era bloccata dall’interno, forse il chiavistello.
Non ci sono segni di effrazione né sono stati trovati biglietti e in casa non mancherebbe nulla. «È probabilmente caduto e si è rotto la testa dopo un infarto. Faranno l’autopsia e ne sapremo di più, ma assolutamente non è un omicidio», spiega all’Agi la sorella Valeria mentre nel quartiere amici e conoscenti ripercorrono la vita di un uomo che fino a dieci anni fa entrava al bar con completi sartoriali ma che negli ultimi tempi veniva visto passeggiare solo in compagnia di buste piene di bottiglie di vino. «Sapevamo del suo problema con l’alcol e per questo - raccontano Vita e Salvatore, titolari del bar Nolè proprio di fronte all’appartamento di Manni - non gli vendevamo più alcolici da tempo». I due ricordano anche diversi episodi in cui sono usciti dal locale per aiutarlo. «Una volta si era accasciato in strada, chiamammo l’ambulanza, eravamo molto addolorati perché non era così, fino a dieci anni fa entrava nel bar al mattino elegantissimo prima di andare a lavoro ma poi il tracollo». «Chissà se forse - conclude Salvatore - non sia dipeso da quel locale aperto con alcuni soci in via Durazzo e poi fallito ma nessuno avrebbe potuto ammazzarlo, era troppo solo».