Sapeva che tra i farmaci somministrati alla figlioletta c’era un antiepilettico e anche che in ospedale la piccola veniva monitorata a vista da un sistema di videosorveglianza. Allora per tentare di ucciderla avrebbe usato due accortezze: iniezioni identiche a quelle somministrate, ma cinque volte più potenti, e l’ulteriore stratagemma di nascondere la mano sotto le lenzuola. La reazione convulsa della bambina, colpita all’improvviso da spasmi e l’atteggiamento ambiguo della madre, avevano fatto comunque scattare l’allarme. Era stata salvata così, grazie al trasferimento immediato in terapia intensiva, nel maggio dello scorso anno al policlicnico Umberto I una bambina di 8 anni ricoverata per una malattia genetica e alla quale la madre aveva somministrato, in corsia e di nascosto, una overdose di Lamictal, un potente psicofarmaco antiepilettico. Ieri, a piazzale Clodio, la sentenza.
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La donna, finita in carcere e poi ai domiciliari con l’accusa di tentato omicidio, è stata condannata in abbreviato a 4 anni di carcere, ma per lesioni gravi.
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I difensori della mamma condannata, gli avvocati Savino Guglielmi e Francesca Rossi, pensano all’appello: «Riteniamo che le accuse, anche se ridimensionate, siano comunque infondate». «L’imputata non ha commesso il fatto - ha precisato l’avvocato Guglielmi - Dal fascicolo emerge piuttosto un errore infermieristico. Lo proveremo». La procura non ha mai escluso che la donna possa soffrire della sindrome di Münchausen per procura, disturbo psicologico che porterebbe le persone colpite a provocare una malattia o un trauma psicologico, in particolare sui figli, allo scopo di attirare attenzione. La piccola resta affidata ai nonni con possibilità di visita solo del padre.