Tesoro di vetro di 2000 anni fa scoperto a Capraia con un robot sottomarino. «Era a 350 metri di profondità»

Una missione italo-francese di archeologhe subacquee ha scoperto al largo tra Capraia e Capo Corso un deposito di vasi, coppe, bottiglie e piatti lavorati che costituivano il carico di una nave romana

crediti foto: Manuel Añò per il Département des Recherches Archéologiques subaquatiques et sous-marine-Drassm
crediti foto: Manuel Añò per il Département des Recherches Archéologiques subaquatiques et sous-marine-Drassm
di Laura Larcan
Domenica 16 Luglio 2023, 00:21 - Ultimo agg. 11:15
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Il grande blu del mare era quasi impenetrabile ad oltre 350 metri di profondità. L’oscurità sembrava avvolgere ogni cosa ed ogni creatura. Ma la luce proiettata da Arthur, il nuovo prototipo di robot archeo-subacqueo specializzato nella documentazione e recupero di reperti in altissimi fondali, ha regalato la sorpresa più inaspettata in quelle acque italiane fra l’Isola di Capraia e Capo Corso al largo della Corsica. Un autentico tesoro di vetro di oltre duemila anni fa. Uno sterminato deposito di oggetti raffinati, tra vasi, coppe, bottiglie, piatti, unguentari, tutti manufatti di vetro soffiato, interi, perfettamente conservati come fossero usciti dalla vetrina di un negozio di oggi. Spettacolo nello spettacolo marino, dove aragoste e pesci sembravano abitare in quelle creazioni trasparenti, come fossero invitati ad un banchetto prezioso. 

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LA MISSIONE

Una emozione per il team di archeologhe subacquee della missione bilaterale italo-francese che ha scoperto il carico rarissimo, eccezionale, di vetro di un relitto romano datato tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C. «Siamo di fronte ad una nave romana naufragata con un carico composto quasi esclusivamente da vetro, trasportato sia allo stato grezzo, in diverse tonnellate di blocchi grezzi di varie dimensioni, sia lavorato, sotto forma di migliaia di manufatti di vasellame da tavola di vetro soffiato», racconta al Messaggero Barbara Davidde, la soprintendente nazionale per il patrimonio culturale subacqueo del Ministero della Cultura, ancora con l’emozione nella voce.

Un caso praticamente unico. «La nave probabilmente doveva provenire da un porto del Medio Oriente - commenta Davidde - forse dal Libano o dalla Siria ed era diretta verso la costa provenzale francese».

I mercati dell’allora Marsiglia. I blocchi di vetro destinati alle fornaci per essere lavorati, i servizi di piatti, coppe e bicchieri, per impreziosire i banchetti di lussuose residenze. La prima campagna di ricerca, che doveva esplorare la nave intercettata qualche anno fa (era il 2013, grazie all'esplorazione di Guido Gay), ma rimasta nell’oscurità del fondo marino, non solo ha “trovato” un tesoro, ma lo ha anche recuperato, risultato della collaborazione strategica con l’archeologa Franca Cibecchini del Département des Recherches Archéologiques subaquatiques et sous-marine (Drassm) e l’Inrap, con l’archeologa specialista del vetro antico Souen Fontaine.

Tesoro di vetro di 2000 anni fa scoperto a Capraia con un robot sottomarino. «Era a 350 metri di profondità»

Un’impresa tutta al femminile, cui hanno partecipato anche la biologa marina Nadine Le Bris e la diagnosta Carlotta Sacco Perasso. Un’impresa non da poco a quelle profondità. «Quando si arriva sul fondale è tutto buio e scuro, tant’è che gli enormi blocchi di vetro grezzo sembravano ad un primo sguardo delle rocce - spiega Barbara Davidde - È stata la luce proiettata dai due robot sottomarini che ci ha fatto comprendere la natura speciale del carico. Di fronte a noi avevamo tonnellate di blocchi di vetro grezzi e intorno un uno sterminato deposito di oggetti di vetro, come vasi, coppe, bottiglie, piatti di vetro soffiato, quasi tutti perfettamente interi». Quartier generale della missione era la nave di ricerca ammiraglia, l’Alfred Merlin. Da qui venivano calati in acqua i due esploratori sommergibili hi-tech, i Rov Arthur e Hilarion. «Arthur, capace di scendere molto in profondità, è progettato appositamente per fare ricognizione, rilievi e recuperi archeologici - sottolinea Davidde - mentre Hilarion è specializzato per il supporto di foto, video e documentazione». 

IL BRACCIO MECCANICO

L’emozione ha accompagnato ogni fase dell’indagine: «La fase del recupero del primo oggetto in vetro è stata piena di tensione - ricorda Barbara Davidde - Era una bottiglia intatta. Vedevo con apprensione il braccio meccanico di Arthur che recuperava senza danneggiarlo un reperto così fragile, conservato ad una profondità di oltre 350 metri, dopo un drammatico naufragio, un evento tragico cui era sopravvissuto. Temevo che si rompesse...». Grazie ad un sistema ad artiglio, molto delicato, montato su Arthur, sono stati recuperati vari oggetti di vetro (bottiglie, piatti, coppette, coppe, un unguentario) ma anche due bacili di bronzo e alcune anfore, per essere trasportati nei laboratori della Soprintendenza di Taranto.

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