Trovano ancora romana nell'orto della chiesa, la consegnano subito al museo ma vengono lo stesso denunciati

I due protagonisti della vicenda deferiti perché sono ancora in vigore norme risalenti agli anni Trenta per cui i materiali di interesse archeologico appartengono allo Stato e non possono essere toccati

Trovano ancora romana nell'orto della chiesa, la consegnano subito al museo ma vengono lo stesso denunciati
di Roberto Perini
Martedì 19 Settembre 2023, 08:10 - Ultimo agg. 14:58
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Il procedimento avviato a carico di due anziani che, una decina d'anni fa, rinvenuta un'ancora romana di piombo dietro l'abside di san Domenico a Chioggia (anziché limitarsi a segnalarne la presenza) decisero in fretta e furia di consegnarla a un'istituzione museale affinché nessuno la rubasse, si è definitivamente estinto a causa della loro morte.

La nave romana e il suo tesoro sommerso, area top secret al largo di Montalto

Si trattava del sagrestano volontario ultraottantenne Giuseppe Nordio e dell'amico ex operaio Montedison Renzo Marchesan, pensionato da una decina d'anni.

Convinti d'aver agito secondo la logica e il buon senso, si ritrovarono imputati perché avrebbero forse violato alcune norme risalenti agli ormai lontani anni Trenta. Norme che stabiliscono che i materiali d'interesse archeologico, indipendentemente dal luogo del rinvenimento, appartengono allo Stato e che pertanto nessuno li deve toccare. I due stimati collaboratori della parrocchia rinvennero il reperto vangando l'orto retrostante la chiesa. Il fatto è emerso nel corso di un convegno tenutosi a Palazzo Grassi, patrocinato dal Comune, dedicato alla Giornate europee del Patrimonio.

Norme ormai vecchie

«Premesso che l'innocenza dei due anziani, purtroppo scomparsi, da qualche anno era evidente - commenta lo storico Luciano Bellemo (presente all'evento in veste di curatore del campanile museo di Sant'Andrea, dove è conservato l'orologio meccanico più antico del mondo) - era e rimane evidente che le vecchie norme promulgate dal Re affinché cessasse finalmente il traffico dei tesori archeologici, tutt'altro che prive di controindicazioni, sono da rivedere. Questo vale soprattutto per quel che viene recuperato dal mare. Nel caso delle ancore di piombo, peggio che peggio. In più occasioni, quelle finite nei ramponi utilizzati per la cattura dei pesci, dei crostacei e dei molluschi viventi sulla sabbia del fondale sono state fatte a pezzi e vendute come piombo da fondere».

«Nei mesi scorsi - continua Bellemo - il metallo era quotato più di un euro e mezzo al chilo. Ovviamente, ci rimasi malissimo quando, dopo aver segnalato alle Autorità la presa in carico dell'ancora, d'epoca imperiale, i due volonterosi malcapitati che l'avevano portata al campanile finirono nei pasticci. Che, nel caso dei reperti tratti dal mare, la vetusta normativa non incentivi affatto i comportamenti virtuosi mi sembra evidente».

Le difficoltà

«Perché mai - si domanda Bellemo - un pescatore dovrebbe perdere tempo, adeguandosi a troppe lungaggini per segnalare agli organi di Stato gli oggetti antichi che ancora finiscono di tanto in tanto nelle reti? Oltretutto, nella consapevolezza che il più delle volte essi non finiscono esposti nei musei, ma dimenticati nei magazzini? Le medesime considerazioni valgono - conclude Bellemo - anche per l'ancora in questione, benché non sia stata tratta dal mare, ma recuperata dal terreno dove qualcuno l'aveva sotterrata, probabilmente per andarsela poi a riprendere per farne chissà cosa».

Del tutto analogo, il parere di Pierdomenico Pregnolato, presente al convegno, membro della Commissione territorio dell'Ordine degli ingegneri del Veneto e della Commissione di Salvaguardia, all'epoca dei fatti. «La cultura e la storia - dice - non si tutelano mettendo in difficoltà la gente o confinando gli oggetti ritrovati all'interno di magazzini inaccessibili. Tutti dovrebbero prendere ad esempio l'operazione, approvata dalla Salvaguardia con entusiasmo, condotta alcuni anni fa dalla direzione del museo dell'Accademia di Venezia. Tante opere d'arte preziose dimenticate, sotto chiave, sono state valorizzate, esposte e rese finalmente patrimonio dello Stato sì, ma inteso come collettività». 

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