Attacco all'Iran, cosa succede ora? Il rischio dell'escalation, gli Usa: «Noi e Israele estranei»

Anche il leader di Hezbollah frena: «Guerra senza limiti se il nemico attacca». Tel Aviv dopo il blitz col drone a Beirut: «Non è contro il Libano ma per Hamas»

Attacco all'Iran, cosa succede ora? Il rischio dell'escalation, gli Usa: «Noi e Israele estranei»
Attacco all'Iran, cosa succede ora? Il rischio dell'escalation, gli Usa: «Noi e Israele estranei»
di Greta Cristini
Mercoledì 3 Gennaio 2024, 23:56 - Ultimo agg. 4 Gennaio, 10:00
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L’ombra dell’escalation si estende sul Libano. Non solo perché l’eliminazione di Al-Arouri, uomo di punta di Hamas vicino alle Guardie rivoluzionarie iraniane e a Hezbollah, è la prima negli ultimi anni di un leader della milizia palestinese al di fuori di Gaza e Cisgiordania. Ma anche perché l’Asse sciita ha già un conto da saldare con Israele per l’assassinio del generale dei pasdaran Mousavi, avvenuto la scorsa settimana in Siria. Eppure, nonostante la condanna formale a Israele e senza poter escludere dai calcoli un ampliamento delle ostilità, ieri Nasrallah, leader della milizia filo-iraniana libanese, non si è voluto intestare la responsabilità di aprire un nuovo fronte, rimettendo la palla a Israele: «Noi combattiamo al fronte con calcoli precisi. Ma se il nemico scatena una guerra contro il Libano, la nostra battaglia sarà senza limiti, senza regole». Oltreoceano, e con lo stesso desiderio di smorzare i toni, anche Washington ha invitato alla calma: «Un’escalation del conflitto in Medio Oriente non è nell’interesse di nessuno» ha chiarito il portavoce del dipartimento di Stato, Miller: «Gli Stati Uniti e Israele non sono coinvolti in alcun modo nelle esplosioni».

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Nessun dialogo

Certo, i tentativi di dialogo fra Hezbollah e Israele non funzionano.

A metà dicembre Gerusalemme si era detta aperta a un accordo politico per la creazione di una zona sicura lungo il confine fra i due paesi, con certe garanzie. Ma dopo essersi rifiutato di evacuare volontariamente l’area di confine, Hezbollah aveva iniziato a mobilitare le sue forze a sud del fiume Litani in preparazione a un confronto armato che, secondo il Comandante del Fronte Interno israeliano, il generale maggiore Milo, era diventato «inevitabile». Del resto, per una parte dell’establishment militare e politico dello Stato ebraico, questa non è una guerra solo per Gaza, ma il primo passo di un progetto più ampio che dovrebbe emancipare Israele dallo stato di emergenza permanente, scoraggiando i principali nemici della regione, a partire dall’Iran e dai suoi proxies, dal generare nuove minacce alla sua esistenza. In questo senso, sono ben note le pressioni del ministro della Difesa Gallant, che dopo il 7 ottobre aveva suggerito a Netanyahu un attacco preventivo contro il Partito di Dio libanese. E, tuttavia, secondo la stampa americana, anche allora la Casa Bianca era riuscita a convincere Netanyahu ad annullare un assalto aereo pianificato per l’11 ottobre contro Hezbollah. 

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La strategia

Al di là delle provocazioni, sarebbe nell’interesse del governo israeliano non dare fuoco alle polveri. È di questo avviso il ministro degli Esteri turco Fidan: «Penso che gli israeliani si stiano sforzando per cercare di non entrare in guerra con il Libano». Sembrerebbe confermarlo il consigliere di Netanyahu, Mark Regev, che, in riferimento all’uccisione di Al-Arouri, ha dichiarato: «Israele non ha rivendicato la responsabilità per questo attacco. Ma, chiunque l’abbia fatto, non si tratta di un attacco allo Stato libanese né all’organizzazione terroristica Hezbollah. È un attacco ad Hamas, questo è molto chiaro». Intanto, la prima vittima del peggioramento delle tensioni è il colloquio fra Israele e Hamas mediato dall’Egitto per un secondo scambio fra ostaggi israeliani e detenuti palestinesi. Hamas ha congelato i negoziati per il cessate il fuoco «fino a nuovo avviso» e il Cairo ha informato Gerusalemme di aver sospeso il suo ruolo di intermediario nelle trattative. 

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