Nel 2100 i ghiacciai alpini potrebbero sparire?

Nel 2100 i ghiacciai alpini potrebbero sparire?
di Rita Annunziata
Martedì 8 Dicembre 2020, 20:08 - Ultimo agg. 20:42
4 Minuti di Lettura

Il temibile destino dei ghiacciai alpini, per gli esperti, è ormai segnato. Anche negli scenari più ottimistici. Secondo un nuovo studio condotto dai ricercatori della Aberystwyth University in Galles, in collaborazione con l’International centre for theoretical physics (Ictp) di Trieste e pubblicato sulla rivista scientifica “Climate Dynamics”, entro la fine del secolo i 4.395 ghiacciai attualmente presenti nelle Alpi perderanno una parte sostanziale del proprio volume e molti di essi potrebbero scomparire del tutto indipendentemente dalle future emissioni di gas a effetto serra. 

Il team di ricercatori ha costruito un modello per calcolare le condizioni in cui i ghiacciai resterebbero in equilibrio, vale a dire stabili e non a rischio di scioglimento, a seconda di vari fattori ambientali e climatici. Ma i risultati non sono incoraggianti. «In uno scenario in cui tutto resta uguale e non vengono adottati provvedimenti per cambiare la situazione, la scomparsa di quasi tutti i ghiacciai alpini è certa», spiega Filippo Giorgi, uno degli autori dello studio e climatologo dell’Ictp. Si parla di destinazioni sciistiche particolarmente amate dagli europei, come il Piccolo Cervino a Zermatt, in Svizzera, il ghiacciaio dell’Hintertux in Austria e la Grand Motte di Tignes in Francia.

Tutti ghiacciai che potrebbero sparire quasi completamente entro il 2100, generando numerosi effetti a catena sull’accumulo e il deflusso dell’acqua, sull’ambiente e sugli ecosistemi alpini. Nello specifico, stando allo studio, si parlerebbe di una perdita di volume compresa tra il 65 e l’80% rispetto ai livelli registrati all’inizio del XXI secolo in uno scenario a basse emissioni di gas serra, tra l’80 e il 90% in uno scenario di emissioni moderate, e tra il 90 e il 98% in uno scenario di emissioni elevate. 

«L’ambiente alpino è uno dei più importanti in Europa, sia dal punto di vista degli ecosistemi montani che dal punto di vista economico, ed è anche uno dei più vulnerabili al riscaldamento globale. Questo dovrebbe rappresentare un grande campanello d’allarme per l’Europa in generale e per l’Italia in particolare», aggiunge Giorgi. Sulla stessa linea d’onda anche il coordinatore del progetto, Neil Glasser, secondo il quale il cambiamento climatico rappresenta una questione globale e la «drammatica scomparsa dei ghiacciai alpini» ne è uno degli effetti «più immediati e visibili». 

L’unico modo efficace per contenere questo fenomeno, secondo Giorgi, è contribuire alla riduzione delle emissioni di gas serra, limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali e proseguendo tale azione per contenere l’aumento a 1,5°C secondo quanto stabilito con l’Accordo di Parigi del 2015. «L’Italia deve dunque accelerare la conversione alla green economy e fare pressione sulla comunità internazionale affinché questa conversione avvenga anche a livello europeo e mondiale», conclude l’esperto. A livello locale, precisa, «gli effetti del riscaldamento globale dovrebbero essere considerati in riferimento a tutta la pianificazione delle politiche socio-economiche, come la gestione dell’acqua, dell’agricoltura e del territorio».

Ma il Belpaese si sta davvero incamminando verso questa direzione? Secondo i risultati del rapporto annuale di Germanwatch, del Climate action network e del NewClimate Institute, l’Italia scivola dalla 26esima alla 27esima posizione nella classifica sul contrasto dei cambiamenti climatici. Lo studio, in particolare, analizza le prestazioni di 57 paesi e dell’Unione europea nel complesso in quattro categorie: emissioni di gas serra (40%), energie rinnovabili (20%), politica climatica (20%) e utilizzo dell’energia (20%). Nel contesto generale la Svezia guadagna il primo posto, seguita da Regno Unito e Danimarca. Fanalino di coda gli Stati Uniti per il secondo anno consecutivo, anche se, precisano i ricercatori, resta da determinare se le politiche annunciate dal neo presidente Joe Biden sul fronte saranno confermate.

© RIPRODUZIONE RISERVATA