Guerra Israele, 007 spiazzati e difese aeree in crisi: Tel Aviv si scopre fragile (e le truppe sono in Cisgiordania)

Il blitz inatteso come cinquant’anni fa nell’anniversario della guerra del Kippur

L’intelligence spiazzata e le difese aeree in crisi, Tel Aviv si scopre fragile (e le truppe sono in Cisgiordania)
L’intelligence spiazzata e le difese aeree in crisi, Tel Aviv si scopre fragile (e le truppe sono in Cisgiordania)
di Raffaele Genah
Sabato 7 Ottobre 2023, 22:46 - Ultimo agg. 8 Ottobre, 12:25
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Le immagini di quei pick-up che percorrono lentamente le strade di città e villaggi del sud con a bordo i terroristi con passamontagna, divise nere e le armi in pugno entrano prepotentemente nelle case e nella storia del Paese. Immagini mai viste nei 75 anni di vita dello Stato ebraico che, come 50 anni fa nel giorno del Kippur si è fatto cogliere impreparato e ora si interroga su come sia stato possibile portare a termine una sfida del genere senza che nemmeno uno spiffero arrivasse alle orecchie solitamente attente della sicurezza israeliana

I SEGNALI

Un atto di guerra che qualcuno ha definito l’11 settembre israeliano, pianificato e preparato in un tempo certamente non breve durante il quale non sono mancati episodi e segnali che avrebbero potuto essere raccolti. L’ultimo in ordine di tempo è stata la riunione non più tardi di tre settimane fa in Libano cui hanno partecipato i capi di Hamas insieme ai vertici di Hezbollah, della Jihad islamica e il comandante delle forze iraniane Quds. Qualcosa di grosso evidentemente bolliva in pentola. E poi non più tardi di una settimana fa la lettera del ministro degli Esteri della Giordania, cui spetta la vigilanza e la tutela dei luoghi sacri per i musulmani a Gerusalemme.

Paese con cui Israele intrattiene rapporti diplomatici e di buon vicinato. E dunque una missiva da tenere in considerazione e che forse avrebbe potuto innalzare il livello di attenzione dell’intelligence israeliana.

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NUOVI SCENARI

La Giordania condannava «l’ingresso di coloni e membri della Knesset nella moschea di Aqsa» e le restrizioni per «l’accesso alla Spianata». E proprio questa, la «profanazione dei luoghi santi», è stata indicata da Hamas come una delle due cause della propria sanguinosa offensiva. L’altra, il rifiuto costante a liberare i prigionieri: un passaggio che spiega invece il numero elevato di ostaggi civili e militari rapiti e portati nella Striscia. Questo apre nuovi probabili scenari perché Israele farà di tutto per onorare quel patto stretto con i suoi soldati di riportarli a casa a qualsiasi costo, come è stato per Ghilad Shalit scambiato nel 2011, da solo, con 1027 prigionieri.

GLI ERRORI

Ma la sottovalutazione di quanto sarebbe potuto accadere nasce anche da una lettura errata della mappa del rischio: da molti mesi l’attenzione si è focalizzata sui territori caldissimi della Cisgiordania dove è stata avviata una stretta e le operazioni antiterrorismo si sono ripetute quotidianamente. Gli ultimi violenti scontri risalgono a luglio, a Jenin con diversi morti e centinaia di arresti. Da allora quell’area è strettamente presidiata e questo avrebbe scoperto il fianco verso l’enclave di Gaza, dove peraltro proprio ieri, migliaia di persone festeggiavano la ricorrenza della nascita di Hamas. I responsabili militari, in questa regione, si sono affidati alla tecnologia di Iron Dome, (Cupola di ferro), il sistema di difesa brevettato dagli israeliani che finora ha protetto le città e i villaggi confinanti con la Striscia. Una barriera elettronica sofisticata che, nel giro di una manciata di secondi, calcola il possibile raggio di caduta del missile e decide se intercettarlo (operazione che ha un costo elevato) o lasciarlo cadere in mare o nelle campagne disabitate. 

LE PROTESTE

Da parte sua Hamas ha spinto sull’acceleratore cogliendo un momento di tensioni e profonde divisioni nella società israeliana. Le proteste contro il governo più a destra della sua storia e contro le riforme sono arrivate alla quarantesima settimana consecutiva, e in piazza hanno sfilato anche migliaia di riservisti. Ma gli israeliani ritrovano la loro unità proprio sul tema della sicurezza e le manifestazioni previste come ogni sabato, sono state annullate. La capacità di realizzare un’impresa, che sembrava impensabile, ha ridato smalto ad Hamas che governa ininterrottamente da 16 anni - in maniera disastrosa - una lingua di terra abitata da 2 milioni di persone ma che ultimamente deve fare i conti con la concorrenza della Jihad islamica, gruppo direttamente collegato con Teheran. E da quei pick-up è partito anche un messaggio chiaro rivolto all’Arabia che nelle ultime settimane sembrava avvicinarsi ad un accordo con Israele. Mentre sui radar della diplomazia la figura di Abu Mazen appare sempre più sfocata. 

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