Per mesi si è indagato ipotizzando un omicidio da spy story, perché le prime analisi avevano fatto emergere sospetti su un avvelenamento con sostanze radioattive. Il giallo, poi, si è risolto con una super consulenza che ha stabilito che a causare il decesso era stata una malattia rara. Ora, però, un giudice ha deciso che il caso della morte di Imane Fadil, una delle testimoni chiave del caso Ruby, non è chiuso e bisogna indagare ancora e stavolta sulle eventuali responsabilità dei medici, come chiesto dalla famiglia. Fadil, modella marocchina di 34 anni che con le sue dichiarazioni rafforzò l'accusa nei processi sul 'bunga-bungà nella residenza di Arcore di Silvio Berlusconi, era morta il primo marzo 2019 dopo oltre un mese di ricovero all'Humanitas di Rozzano, nel Milanese.
Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio, titolari del filone 'Ruby ter', aprirono un'inchiesta per omicidio volontario.
Servono nuove indagini e valutazioni, anche con perizie, ha ordinato il gip, per verificare se ci sia un «nesso» tra la morte e la «condotta dei sanitari» e se la «malattia» poteva essere diagnosticata prima. Accolta la linea dei legali della famiglia, gli avvocati Mirko Mazzali e Nicola Quatrano, che si sono avvalsi di una loro consulenza. Per il gip sono necessari «ulteriori approfondimenti» per valutare se «fosse prevedibile ed evitabile la emorragia gastroesofagea che ha determinato la morte», se fosse «possibile un accertamento più tempestivo della diagnosi» e se si «poteva evitare il decesso» con «le cure del caso». Non basta, scrive il gip, «quanto sinteticamente affermato» da un consulente dei pm sulla «assenza di colpa medica». Tra l'altro, gli stessi consulenti avevano segnalato che «le scelte terapeutiche degli ultimi giorni», successive alla diagnosi, «non sono state coerenti».
La «terapia di supporto e steroidea», spiega il gip, «era dettata da un quadro clinico non correttamente interpretato dai sanitari». Per il gip, poi, suscitano «evidenti perplessità» le dichiarazioni del medico che ebbe in cura la giovane, il quale ha messo a verbale che «data la situazione era più urgente il plasma exchange, più del trapianto» di midollo. A verbale anche il racconto di un'infermiera: «Si vociferava di un possibile avvelenamento soprattutto perché non si trovava una causa ai suoi sintomi». Ipotesi di avvelenamento esclusa, invece, «in radice» da tutte le analisi, scrive il gip, che boccia nuovi esami sul punto e restituisce gli atti ai pm affinché indaghino per 6 mesi su presunte responsabilità dei medici dell'equipe di medicina generale che si sono occupati della modella. Medici per i quali, in vista degli accertamenti e a garanzia, si profilano iscrizioni nel registro degli indagati.
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