Joirt e Putin: lo strano Pantheon di Ciro l'innovatore un po' confuso

Negli ultimi anni l'artista ha perso la spinta di rottura delle origini

Un murale di Jorit
Un murale di Jorit
di Antonio Menna
Venerdì 8 Marzo 2024, 09:01 - Ultimo agg. 12:47
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Da Marek Hamsik a Ornella Muti, passando per Pino Daniele, Pasolini, Che Guevara, Lucio Dalla, Pablo Neruda, Antonio Cardarelli, Patrizio Oliva, Angela Davis, Yuri Gagarin, Eduardo de Filippo, Ilaria Cucchi, Maradona, Paolo Ascierto, Nino D'Angelo e San Gennaro. Si fatica a trovare un filo, una poetica, che colleghi gli ormai tanti volti che Ciro Cerullo, 33 anni, in arte Jorit Agoch, ha dipinto sui muri di Napoli e in molti altri posti del mondo, raccogliendo una straordinaria attenzione mediatica e un buon successo personale. Un po' cronaca, un po' attualità, un po' politica: prova a tenere tutto insieme, il giovane artista di Quarto (papà napoletano, mamma olandese), oppure magari non gli importa nulla delle letture di chi, guardando questa carrellata di facce, comincia a chiedersi da un po', ben prima della sbandata per il dittatore russo Putin: ma alla fine che cosa stai provando a dirci, da oltre un decennio, con questi volti così enormi e in fondo tutti così uguali?

A Jorit va sicuramente il merito di aver aperto a Napoli una tendenza. Fino a lui, l'idea popolare del murale era solo quella graffitara. I writer che imbrattano i treni illegalmente, scavalcano i depositi, allestiscono scritte sui vagoni e sui muri, lanciano messaggi a volte indecifrabili. Poco più che un vandalismo, anche se alcuni occhi più attenti si erano già accorti che a Napoli, come nelle altre metropoli, dietro quel mondo, ribollivano talenti espressivi profondi e veri, come quello di Felice Pignataro, a Secondigliano, col Gridas (Gruppo risveglio dal sonno) e i suoi disegni intensamente politici. Prima di Jorit, pochi avevano capito, almeno qui, che dietro quella che sembrava lo spray di una contestazione, c'era una nuova arte che avanzava, e di cui poi a Napoli abbiamo ammirato esempi eccezionali, con il talento visionario di Francisco Bosoletti alla Sanità, che va oltre i volti, disegna traiettorie spirituali. Jorit, nei primi anni Duemila, attinge al mondo della bomboletta: è un graffitaro dell'area Nord.

Comincia con lo stilizzare la sua stessa firma. Lui si definisce, in quegli anni, attivista no-global e militante di movimenti di rivendicazione dei diritti sociali. Ma Ciro Cerullo, se nel tempo libero fa il graffitaro, in quello principale studia. Frequenta l'Accademia di belle arti di Napoli, si laurea con 110 e lode. Non è uno sbandato, è un talento. Fa suo lo strumentario classico, acquisisce i fondamentali, impara, conosce, e usa gli attrezzi per trasformare la sua street-art in qualcosa di meno urticante e più sbalorditivo.

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A partire dal 2005, Jorit diventa un insolito graffitaro figurativo, che piace a tutti. È quasi un ritrattista classico. Disegna in modo iper-realistico e gigantesco, il volto umano. A Taverna del ferro, tra Ponticelli e San Giovanni a Teduccio, dipinge un volto maturo, accigliato, di Maradona, così vero da sembrare una foto. E dall'altra parte delle stecche (li chiamano così, quei due palazzi paralleli), Che Guevara.

Un doppio murale che fa il giro del mondo. Nessuno considera più quel graffito, un imbratto. Anzi, è un decoro. Un dipinto che oggi, con la demolizione dei palazzi, quasi dispiace di perdere. Toglie il degrado dai muri, li trasforma in opera d'arte. Jorit comincia così a diventare un piccolo mito in città. Viaggiano addirittura leggende metropolitane rispetto alla sua identità: copre il viso, come faceva da graffitaro, non si sa bene come si chiami davvero, si legge solo quella firma curiosa che qualcuno crede essere un acronimo. Un mistero alla Banksy. Ma i volti crescono, si diffondono, piacciono, nessuno protesta, tutti applaudono, e Jorit stesso, lentamente, comincia a mostrarsi. Il suo viso, il suo nome, la sua biografia va a comporsi. Da graffitaro underground ad artista internazionale quotato. Comincia così questo catalogo di visi nel mondo: alcuni noti, altri meno, un sito web, una gallery. Non solo i muri, anche tele. Lo intervistano tutti, perfino la rivista delle Suore apostoline. Il graffitaro è diventato buono.

Ma, forse per non perdere totalmente lo smalto, ricompare, a tratti, la politica, e ogni tanto Jorit richiama la sua Human Tribe. Due segni rossi sulle guance, siamo tutti parte della stessa tribù. I diritti sociali. La lotta per l'umanità. Il sentimento politico. Jorit semina messaggi nei volti che dipinge, li nasconde negli occhi, piccole scritte invisibili, lettere nella bottiglia. Nel 2018, va a Betlemme a dipingere il volto dell'attivista palestinese Ahed Tamini su un muro. Viene arrestato dalla polizia israeliana. Resta 24 ore in carcere, poi un foglio di via e torna a Napoli. Molta paura, molto clamore. Coi russi, invece, gli va meglio. Può dipingere a Mariupol, nella città ucraina occupata, devastata dalla guerra, può dipingere Gagarin a Odincovo. Poi a Napoli può fare Dostoevskij su una scuola, mentre altre bombe russe devastano l'Ucraina, e ricevere il plauso di Putin.

Può ritrarre Ornella Muti a Sochi, dove abbraccia il dittatore russo a tiro di fotocamera, facendo accendere in Italia una polemica che rischia, forse per un'ansia incontrollata di correre contro il vento, di fargli più danni di quelli che merita. Jorit, per chi lo conosce, è un ragazzo mite, silenzioso. Tutt'altro che un violento. Un buon ritrattista. Un ottimo pittore figurativo, forse negli ultimi anni un po' a corto di idee, troppo uguale a sé stesso, senza più quella spinta innovativa e di rottura che è propria della contemporaneità, e che lui non riesce a ritrovare, esaurita la novità iniziale. La sua anima politica, così contraddittoria e sconcertante, diventa l'unico graffio.

Ma sembra addirittura disarmante per quanto è ingenua. Ha solo da perdere, Jorit, da questo abbraccio col dittatore russo. E ondeggia paurosamente anche la sua poetica: Martin Luther King e Vladimir Putin possono coesistere solo nel Pantheon confuso di un artista un po' scoordinato a cui, in quanto artista, se si avventura in terreni geopolitici, si perdona tutto. O quasi. Ma giusto perché ha trasformato alcune nostre amate periferie in gallerie d'arte, o forse perché non perdiamo la speranza che all'improvviso faccia comparire su un muro di Mosca, il volto gigante, dolce, di Anna Politkovskaja: allora sì, Jorit, che sarebbe un vero colpo da graffitaro di Napoli Nord.

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