Molestie sessuali e minacce, la rivolta delle cheerleader

Le cheerleader dei Redskins
Le cheerleader dei Redskins
di Erminia Voccia
Mercoledì 10 Ottobre 2018, 19:59 - Ultimo agg. 11 Ottobre, 20:34
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A maggio il New York Times aveva pubblicato un articolo di denuncia sulle molestie sessuali e le intimidazioni subite da cinque  ex cheerleader dei Redskins, squadra di football di Washington. Le donne avevano raccontato di quanto l'ambiente lavorativo in cui erano inserite fosse inquinato e malsicuro, restando però anonime. In seguito a tale denuncia, le ex ragazze pompon hanno dovuto anche sopportare in silenzio gli insulti di chi le accusava pubblicamente di gettare fango sulla professione, spesso le stesse colleghe. Due di loro ora hanno trovato il coraggio di uscire allo scoperto per spingere i dirigenti delle squadre a smettere di trattare le cheerleader come “spazzatura”.

Rebecca Cummings e Allison Cassidy hanno riferito ancora al New York Times di aver deciso di rendere nota la loro identità per aumentare la credibilità delle loro accuse e per spingere altre donne a ribellarsi alle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Cummings e Cassidy hanno anche affermato di sentirsi frustrate per via dei tentativi poco convincenti del team di migliorare la condizione delle colleghe e della mancanza di chiarezza riguardo le regole a cui le cheerleader devono conformarsi. Al quotidiano le cinque ex cheerleader avevano parlato di un servizio fotografico realizzato in Costa Rica per il calendario del 2013 durante il quale sarebbero state oggetto di molestie da parte degli sponsor del team. Il dirigente della squadra le avrebbe inoltre invitate ad intrattenere gli sponsor al nightclub dopo il servizio fotografico. Nessuna delle delle donne sarebbe stata abusata fisicamente, anche se le stesse cheerleader avrebbero detto di non essersi sentite a proprio agio. Allison Cassidy, inoltre, ha raccontato di essere stata invitata dal team a casa di privati per partecipare a una serata tra uomini in cui si guardava il football alla tv e si beveva alcol. Dopo essersi rifiutata, Cassidy avrebbe spinto altre colleghe a fare lo stesso e, come conseguenza, sarebbe stata richiamata dalla squadra per aver avuto comportamento negativo sullo spirito del team. 

Come reazione al rapporto del New York Times, i Redskins avevano dichiarato che le ragazze erano state sincere sul viaggio in Costa Rica, ma avevano certamente esasperato qualche particolare. Successivamente il team ha avviato un'indagine interna per fare luce sulla condizione delle cheerleader. I Redskins infatti hanno introdotto diverse novità in questa stagione per dare un'immagine migliore della squadra: uniformi meno aderenti per le ragazze pompon che interagiscono con i fan, senza però esibirsi a bordocampo, nessun sponsor invitato allo shooting fotografico in Messico per il nuovo calendario, dove le ragazze erano scortate da agenti donna, e nessuna richiesta rivolta alle cheerleader di partecipare a eventi privati. 

Questi passi in avanti per Cummings e Cassidy non basterebbero a eliminare la cultura diffusa improntata alle molestie e alle intimidazioni che circonda la professione. Le ragazze vivrebbero nel timore di dover assecondare le richieste del team, di perdere il lavoro e di essere tagliate fuori dal “giro che conta”. Le due donne venute allo scoperto hanno dichiarato di aver perso molte amicizie a causa delle loro affermazioni. Le cerleader dei Redskins non sono le sole ad aver criticato le regole imposte dal loro datore di lavoro, almeno altre quattro squadre nel 2018 sono state citate in giudizio per molestie, salari inadeguati e trattamento discriminatorio verso le donne.



Anche se la National Football League sta facendo il possibile per venire incontro alla richiesta di maggiori diritti per le cheerleader, mancano ancora regole chiare e vincolanti per le squadre. Le ragazze pompon non hanno lo stesso trattamento degli sportivi uomini, non sono considerate vere atlete e ricevono uno stipendio che non arriva alla soglia del salario minimo. Devono affrontare di tasca propria spese che riguardano il loro aspetto, come quelle per l'estetista e per il parrucchiere, e quelle per le uniformi, ma soprattutto non ricevono supporto psicologico e medico commisurati al lavoro che svolgono. Le vicende di alcune cheerleader hanno trovato spazio sui media degli Stati Uniti anche grazie al movimento #metoo, ma ancora tantissime ragazze avrebbero paura di esporsi.
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