Nave Duilio attaccata nel Mar Rosso, Cavo Dragone: «Italia la più esposta. ​Dagli Houthi altri attacchi, sapremo difenderci»

Il Capo di stato maggiore della Difesa il giorno dopo l’assalto subito in Mar Rosso. «Non è un caso che abbiano scelto noi. Gli Houthi non ci spaventano, reagiremo»

Nave Duilio attaccata nel Mar Rosso, Cavo Dragone: «Italia la più esposta Dagli Houthi altri attacchi, sapremo difenderci»
Nave Duilio attaccata nel Mar Rosso, ​Cavo Dragone: «Italia la più esposta ​Dagli Houthi altri attacchi, sapremo difenderci»
di Nicola Pinna
Lunedì 4 Marzo 2024, 00:03 - Ultimo agg. 12:10
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Non succedeva dalla Seconda guerra mondiale. E 79 anni dopo un’unità militare italiana è finita di nuovo sotto attacco. Il nemico stavolta non ha la bandiera di uno Stato ma il nome diventato ormai familiare di un gruppo di guerriglieri. Non un’armata improvvisata, se è vero che gli stessi ribelli Houthi che ora terrorizzano il Mar Rosso hanno combattuto per anni contro una potenza economica come l’Arabia Saudita. Il drone che sabato il cacciatorpediniere italiano Duilio ha abbattuto tra le onde del Mar Rosso aveva la missione di compiere un attacco. Sulla rotta della nave della nostra Marina militare, insomma, quel velivolo senza pilota non ci era finito per errore. L’obiettivo era chiaro: prendere di mira l’Italia che nei prossimi giorni assumerà il comando tattico della missione europea Aspides. «Direi che non è stato un caso», sostiene l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, il Capo di stato maggiore della Difesa italiana: «Non direi che il nostro Paese sia un target deliberato in questa guerra ma il nostro ruolo in quell’area ci espone maggiormente ai rischi - sottolinea il comandante di tutte le forze armate italiane - Finché la comunità internazionale non aveva schierato la propria forza in quell’area, a difesa delle rotte, ovviamente non si verificavano scontri diretti. Ora la situazione è radicalmente cambiata e questi episodi dobbiamo metterli in conto». 

Ammiraglio, possiamo ricostruire quello che è avvenuto nel Mar Rosso?
«La Caio Duilio stava già monitorando alcuni droni e a un certo punto l’equipaggio si è reso conto che uno si è staccato dal gruppo e ha puntato la nostra unità.

Quando il velivolo è arrivato a una certa distanza si è deciso di intervenire. La decisione è stata presa quando si trovava a 6 mila metri di distanza e l’ordine di sparare è stato dato quando era arrivato a 4.500. Tra allarme e intervento sono passati circa 50 secondi».

Come è stata individuata la minaccia? 
«La nave svolge un’attività di monitoraggio. E possiamo anche sfruttare le informazioni che ci arrivano dagli alleati. La missione finora è nazionale, in attesa che inizi Aspides, ma lo scambio di notizie è continuo e previsto». 

Se si ripeterà una situazione simile come reagirete?
«Le regole d’ingaggio sono chiarissime. La nostra unità le ha finora rispettate alla lettera. L’autodifesa, e la difesa estesa a favore del naviglio in transito, sono i principi fondanti della nostra attività. Se sarà necessario, insomma, spareremo ancora. D’altronde siamo addestrati proprio per questo. Non ci facciamo spaventare». 

C’è il timore che le nostre unità diventino bersaglio galleggiante? Il fatto che l’Italia abbia il comando tattico di Aspides ci espone a rischi maggiori? 
«Rischio calcolato. La nostra nave è lì con compiti ben specifici. Chi prova ancora a colpirci ci troverà pronti». 

Com’è possibile scovare droni che viaggiano a 20 mila piedi d’altezza?
«I sistemi a nostra disposizione sono particolarmente sofisticati. La Duilio è una nave creata proprio per la difesa aerea: diciamo che questo tipo di azioni fanno parte della sua competenza diretta». 

Come mai si è passati dalle minacce all’attacco reale da parte degli Houthi? C’è stato un episodio scatenante nei giorni scorsi?
«No, non ci sono stati fatti specifici, nessun altro incidente in mare. Neanche con le marine degli Stati alleati. Certo, la decisione del nostro Paese di partecipare ad Aspides con un ruolo così importante ci espone maggiormente. Ma questo è il nostro mestiere, ci addestriamo anche per combattere». 

L’unità italiana può sparare anche senza il voto del Parlamento su Aspides? 
«Il Parlamento deve solo votare l’adesione alla missione europea. E speriamo che il via libera arrivi in breve tempo. Ma a difenderci siamo autorizzati sempre. Non c’è bisogno di alcun permesso». 

Formalmente la missione Aspides non è iniziata: cosa cambierà poi per chi è in prima linea? 
«Ci saranno più navi e ulteriori sistemi d’arma. L’area esplorata sarà ampliata, il sistema a disposizione del comandante sarà più efficace. Con più apparati di difesa, e in zone più estese: possiamo garantire la protezione a un numero maggiore di convogli». 

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Quanti altri attacchi sono stati scongiurati dalle due unità italiane che hanno operato in quel tratto? 
«Difficile dirlo, la prevenzione è impossibile da quantificare. Sicuramente l’effetto deterrenza ha avuto un ruolo importante». 

I ribelli Houthi dimostrano che sono ancora in grado di proseguire con i loro attacchi. Servono a poco i raid americani e inglesi?
«No, servono eccome. Sono utili a distruggere le loro postazioni: sono raid mirati, molto precisi e che non provocano danni collaterali. E se è vero che finora non hanno fermato i ribelli, di sicuro li hanno indeboliti». 

 

Ora che l’Italia si ritrovata in una posizione più “combat” aumentano anche i rischi per i nostri militari che operano in Libano?
«Rispetto a quando non era scoppiata la crisi tra Israele e Hamas certamente c’è stato un surriscaldamento. I nostri uomini sono immersi in questa realtà ma le precauzioni e le strategie adottate finora sono state vincenti». 

A proposito di Libano quanto ritiene probabile un coinvolgimento di Hezbollah? 
«Credo che Hezbollah e Israele in questa fase non abbiamo intenzione di avviare un processo di escalation. Gli atteggiamenti ci danno questa indicazione». 

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