Ucraina, uomini e donne come topi nascosti al buio nei sotterranei

Ucraina, uomini e donne come topi nascosti al buio nei sotterranei
di Antonio Menna
Martedì 19 Aprile 2022, 00:00 - Ultimo agg. 20 Aprile, 13:13
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Si vive come zombie nelle città sotto assedio. Si vive negli scantinati, nelle fogne, sotto i tombini, nei seminterrati bui, fradici di umidità, come se lo scontro atomico, così evocato in Occidente da sembrare un mantra autodistruttivo, in Ucraina fosse già iniziato. Si vive come topi, strisciando sotto i muri, accovacciati negli angoli per prendere quanto più calore è possibile, per provare a capire se è giorno o notte da una lontanissima lama di luce. I racconti che arrivano in queste ore da quei brandelli di città lacerate ad est dell’Ucraina, dove si preparano nuove battaglie su corpi di fabbrica e di uomini già martoriati, ci consegnano nuove immagini di disumanità. Non sono i lager. Non sono i gulag. Sono gli scantinati della guerra fisica, quella di un antico corpo a corpo. Non più solo le bombe che cadono dall’alto e da cui ripararsi ma lo scontro permanente, casa per casa, strada per strada, il colpo di pistola, perfino la tortura, lo stupro, il saccheggio: altro che Terza guerra mondiale, sembra la prima, o prima ancora. 

Sembra un orrore primitivo, questo ridursi in niente reciprocamente. E lì è vita o morte vera. Non è un film. Negli Stati Uniti li chiamano basement: ogni villetta ne ha uno. Piccoli spazi sotto il livello stradale. Il piano zero. Diventano taverne per cene con gli amici, o palestre domestiche. In Italia, nei grandi condomini, i seminterrati sono quasi sempre garage. In queste ore, invece, nella parte più a est dell’Ucraina, sono tane per gente che fino a 50 giorni fa viveva una vita normale e ora non più: la vita al buio di migliaia di persone che hanno della città di sopra e se ne sono inventata una di sotto. Così, gli abitanti di Mariupol, di Berdiansk, di Kramatorsk o di Zaporizzja sono andati a rifugiarsi con poche, essenziali, cose, nelle camere senza aria e senza luce di questo speciale sottoscala. Il giornale online Linkiesta, con Lidia Liberman e Gianluigi Ricupirati, ha trovato una straordinaria testimonianza, quella di due fratelli di Mariupol che vi si sono rifugiati con la mamma, poi morta accanto a loro di freddo e di inedia. «Una volta mi sono innamorata di un ragazzo, ma lui non si è innamorato di me e ho pensato che facesse male – racconta Katia, 16 anni, ai due reporter - Ma ho scoperto che a far davvero male sono altre cose: tipo vedere tua madre morire davanti a te». I tre, con uno zio, sono rimasti nel seminterrato giorni e giorni. Senza acqua, senza cibo. «Lo zio Kolya – dice ancora la ragazzina - ha catturato un piccione, probabilmente era il quinto o sesto giorno, lo abbiamo fritto e mangiato. E poi abbiamo vomitato tutti». Lo zio, proprio per tentare di portare altro cibo al gruppo, sale in superficie ma muore su una mina. Il gruppo laggiù è ancora più solo. «La mamma ha resistito fino all’ultimo, 3 giorni prima della nostra evacuazione, poi è morta. Dissi a mio fratello che dormiva profondamente e non doveva essere svegliata. Ma credo che lui abbia capito tutto». I due sono rimasti lì accanto ai cadaveri, senza cibo, tentando di resistere e senza mai mettere il naso fuori. Poi, almeno in quella città, l’assedio si è un po’ placato per qualche ore. I sopravvissuti sono potuti uscire. E si sono messi in salvo, potendo raccontare l’orrore così. Senza filtri, l’orrore com’è: orrore, appunto. Ma in quegli scantinati c’è chi tenta ancora di resistere. Mentre fischiano gli ululati dell’ultima battaglia, si rimane come sospesi, anche in mezzo alle propagande incrociate. Chi spara a chi, in una guerra è sempre difficile capirlo. Ma una cosa è certa: qui si viveva normalmente due mesi fa. Prima che arrivassero i russi. Si trema e si resiste anche negli scantinati di Kurakhove, mentre qualcuno già parla di armi chimiche.

Le useranno gli ucraini, per darci la colpa, dicono i russi. Li useranno i russi per sterminare tutti, dicono gli ucraini. Ma se venissero usate, da chiunque fossero usate, farebbero male senza guardare al passaporto: anche per questo, qui, si rimane sotto il livello stradale, con le finestre sbarrate, le porte chiuse.  

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Si ha paura dei russi – che a volte scendono nei sotterranei e non vanno per il sottile -, si ha paura anche delle schegge impazzite dentro i battaglioni ucraini – da queste parti addestrati alla violenza -, si ha paura dei colpi di mortaio, dei droni, delle mine, perfino dell’aria che si respira. «I migliori piani dei topi e degli uomini van spesso di traverso, e non ci lascian che dolore e pena, invece della gioia promessa», recitava una poesia del romantico scozzese Robert Burns, che ispirò a Steinbeck il titolo del suo romanzo più famoso, Uomini e topi. Una similitudine per dire che siamo soli, siamo indifesi verso il destino, e il male ci assedia, proprio come fa la guerra su cittadini che all’improvviso diventano topi per restare umani. 

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