Ucraina, le voci dei rifugiati al confine con la Polonia: «Ora scappiamo ma torneremo a casa»

Ucraina, le voci dei rifugiati al confine con la Polonia: «Ora scappiamo ma torneremo a casa»
di Emiliano Caliendo
Mercoledì 23 Marzo 2022, 07:20 - Ultimo agg. 17:11
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Sono almeno 50mila i rifugiati che dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, il 24 febbraio, sono transitati da Przemysl, città nel Sud-Est della Polonia. Il fulcro del loro passaggio è la stazione ferroviaria della cittadina, che funge anche da centro di controllo passaporti per coloro che provengono dall’Ucraina, distante appena 15 chilometri. Il piazzale antistante l’ingresso dell’edificio, piazza Legionów, pullula di autobus che imbarcano rifugiati disperati, con destinazioni in diversi Paesi europei o in altre città polacche. L’atrio della stazione è un gigantesco bazaar dell’accoglienza. L’infopoint dei vigili del fuoco polacchi, che forniscono ai profughi informazioni dettagliate su come proseguire il loro viaggio verso una meta sicura, è sempre affollato. Così come il banco di distribuzione dei viveri. Un’anziana signora in sedia a rotelle, accompagnata dalla figlia, sorride mentre gli viene versata in un piatto una zuppa calda di carne e patate.

Non manca l’assistenza medica messa in piedi dalla Croce Rossa locale, presente con un mini-ambulatorio in uno dei corridoi della stazione. Lì, su una delle sedie che in tempi di pace avrebbero visto l’attesa indaffarata di un comune pendolare, Sveta, 16 anni, riposa visibilmente esausta. La giovane è in fuga da Kiev insieme a sua madre, ai due fratelli, tra cui un neonato, e ai suoi due cani Gordan e Milly. La madre la invoglia a parlare «perché conosce benissimo l’inglese», dice orgogliosa. «Veniamo dalla parte occidentale della Capitale – afferma Sveta -, la situazione lì è migliore che da altre parte parti, ma abbiamo comunque sentito il rumore delle bombe prima di scappare. Adesso, siamo diretti in Germania, a Monaco di Baviera».

Il viaggio di Sveta e dei suoi animali domestici è stato molto complicato. «Siamo tutti spaventati, inoltre, arrivare in Polonia con due bambini piccoli, due cani e due conigli, è stato molto difficile. Siamo riusciti a nutrire i nostri animali perché ieri notte abbiamo sostato a Leopoli».

Sulla prima banchina della stazione – di fronte ad uno dei tanti banchetti di alcune società di telefonia che offrono sim card gratuitamente a coloro che scappano dal conflitto - c’è il sottopassaggio che porta ai binari dei treni. All’uscita di quel tunnel è possibile conoscere le storie di una normalità spezzata irrimediabilmente dai proiettili e dalle bombe. «Siamo diretti a Berlino. Pratico hockey sul prato ed il mio allenatore ci ha aiutati nel trasferirci lì, dove ha dei contatti» sono le parole di Vladislava, 13 anni. «Siamo molto tristi per quanto sta accadendo a Sumy da dove veniamo (città assediata dai russi, nella regione storica della Sloboda nell’Est dell’Ucraina ndr). All’inizio abbiamo dormito in un rifugio, poi in un bunker vicino casa», spiega con il viso stravolto dalla stanchezza. «Ci sono un sacco di bombardamenti in corso», aggiunge con voce concitata la madre che, oltre a Vladislava, porta con sé un altro figlio che avrà al massimo tre anni. Vite normali interrotte dalla ferocia dell’armata russa e del suo comandante in capo, il presidente russo Vladimir Putin. Ma in chi lascia dietro di sé il caos di una guerra, la voglia di tornare alla quotidianità quanto prima prevale sulla straordinarietà della condizione di profugo che si spera di abbandonare presto. «Il mio obiettivo è tornare a Leopoli il prima possibile», lo riferisce Svitlana, sguardo fiero e un sorriso accennato, come a voler sdrammatizzare la situazione in cui si trova. Svitlana viaggia da sola con sua figlia piccola. Il marito è rimasto a Leopoli in quanto membro della Chiesa Luterana locale. La donna a causa della guerra ha lasciato il lavoro da project manager del settore informatico. «Spero di ritornare a lavorare quanto prima in smart-working», aggiunge. «Vengo da Leopoli – afferma - ma sono originaria della regione di Chmel'nyc'kyj. La situazione a Leopoli è abbastanza stabile, anche se venerdì siamo stati svegliati da un suono fortissimo: dei missili avevano appena colpito l’aeroporto. Per me e mia figlia è stato come un segnale per andar via. Lei ovviamente non comprende cosa sta accadendo ma devo prendermi cura di lei, dunque siamo venuti qui. Adesso - conclude - siamo diretti in Olanda, dalla mia migliore amica. Svitlana cerca nella storia del suo Paese le ragioni che hanno indotto la Russia ad invadere l’Ucraina: «Putin dice di aver iniziato questa guerra per salvare le persone russofone in Ucraina, con l’intento di “denazificare” il Paese. Dice di volersi sbarazzare dei neonazisti, ma questa è solo la versione ufficiale. Se leggiamo la storia dell’Ucraina si può notare che noi ucraini combattiamo contro i russi da centinaia di anni. Esercitano pressioni su di noi da secoli – conclude - e questa guerra è solo l’ennesimo episodio». 

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A Przemysl il via vai di rifugiati è costante: dura dalle 7 del mattino con i primi treni, alle 22 della sera. È fondamentale, dunque, il ruolo svolto dai volontari come Paolo De Munari, giovane insegnante d’italiano, originario di Vicenza, corso in Polonia dal Messico, dove si trovava in viaggio. Servono traduttori al confine polacco-ucraino, perché i rifugiati che parlano inglese sono pochi. E Paolo dalla sua può vantare la conoscenza della lingua russa. Shanya tre anni, Zhenya sei e Natasha nove, scappano da Chernigov coi genitori. Il padre è con loro perché la legge marziale ucraina prevede l'esenzione dal servizio militare obbligatorio per i padri con almeno tre figli. A Chernigov c’è l’inferno: vivevano da un mese in un bunker. Raccontano a Paolo la loro storia: «Ci ha salvato un volontario ucraino in auto. Diceva che se avessero aperto il fuoco, saremmo dovuti uscire dall'auto e metterci dentro a un fosso. Lui aveva il giubbotto antiproiettile, noi non l'abbiamo voluto: non ho mai pregato in vita mia, ma una volta in quell'auto mi sono fatta il segno della croce. Ora siamo qui e stiamo parlando con te. Non sai quanto ti sono grata!». De Munari, infatti, è riuscito a trovargli un passaggio fino a Madrid grazie a dei volontari spagnoli.

A Faro, in Portogallo, vive la sorella di Ira: «Paolo – dice la donna - ti voglio far vedere due foto: questa è del bunker dove stavamo e questa è la vista dalla cucina della nostra finestra: quello tutto distrutto e in fumo è un centro commerciale, proprio di fronte casa nostra». Anche per Ira il desiderio di tornare in patria è più forte delle avversità in cui è stata violentemente catapultata: «Più mi allontano da casa – aggiunge - più mi sale la nostalgia e voglio tornarci. Non ci voleva tutto questo!». Una cassa armonica di dolore e speranza. Questa è la stazione di Przemysl da 27 giorni.

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