Ucraina, a un chilometro dai russi: «Da qui non passeranno»

Ucraina, a un chilometro dai russi: «Da qui non passeranno»
Ucraina, a un chilometro dai russi: «Da qui non passeranno»
di Cristiano Tinazzi
Domenica 13 Febbraio 2022, 08:00 - Ultimo agg. 12:16
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Karlivka è un piccolo villaggio situato a circa dodici chilometri da Donetsk. L’ultimo censimento, datato 2001, riportava la presenza di poco più di quattrocento persone. Una chiesa, villette e case modeste, strade squarciate dal passaggio dei carri armati, dall’incuria e dai crateri provocati dai colpi di mortaio. 

Per le sue strade, a parte alcuni civili che non hanno molta voglia di esporsi, perché non sanno cosa potrà succedere nelle prossime settimane e chi potrebbe controllare queste zone, si muovono i soldati ucraini. La prima linea con i separatisti filorussi è a Pisky, alla periferia dell’autoproclamata repubblica di Donetsk. Ma questo villaggio, prima occupato dalla brigata filorussa “Vostok” e teatro di furiosi combattimenti tra aprile e luglio 2014, è anche la sede di un particolare gruppo di soldati: sono l’unità sniper “Smile” della 58° Brigata dell’esercito ucraino. Il loro comandante si chiama Sergej Varakin e ha creato dal nulla questa unità fornendola nel corso degli anni di armi moderne ed equipaggiamento attraverso donazioni e raccolte di fondi tra privati.

Ci sono tre regole non scritte che chi voleva entrare nell’unità doveva sempre rispettare: la prima è quella di non bere mai alcol, la seconda è quella di, se necessario, essere disposti a combattere senza un salario, la terza quella di essere sottoposti a una durissima disciplina. 

«Del primo gruppo di uomini che ho avuto, metà li ho mandati via perché non volevano accettare una di queste regole». Oggi Varakin ne ha inserita una quarta, quella che «tutti devono spendere il sessanta per cento del loro stipendio per ammodernare e migliorare gli strumenti che hanno in dotazione». Varakin per certi versi ricorda vagamente il colonnello Kurtz del film «Apocalipse Now» di Francis Ford Coppola, un uomo che ottiene senza dover imporre il suo grado un rispetto incondizionato dei suoi uomini, una sorta di padre adottivo, imponente, carismatico, capace di magnetizzare questi giovani soldati, uomini e donne, catapultati nell’inferno della guerra e strappati alle loro vite civili: studenti, professionisti, padri o madri di famiglia. Le gerarchie, se esistono, perché esistono, sono impalpabili. Il comandante si mette a cucinare, tutto viene diviso, nessuno ha un trattamento diverso dagli altri. Qui non esistono accampamenti, tende militari o un centro comando, i soldati abitano in alcune case del villaggio e una di queste fa da mensa, luogo di ritrovo e sala riunioni. 

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Il cecchino “Andrew” in camera sua, oltre a libri e soprammobili, ha agganciati alla parete due fucili di precisione, e un terzo appoggiato a terra, sul treppiede. Nel 2015 era un membro delle forze speciali di polizia incaricato di catturare i separatisti rimasti in clandestinità nelle città riconquistate dall’esercito ucraino. Poi il passaggio nell’esercito. Tre mesi di addestramento per il corso base. «Il nostro lavoro è di muoverci in silenzio, a circa un chilometro di distanza dai nemici. Quando si accorgono di noi, significa che sono già morti. Da qui non passeranno».

 

Il sergente Nataliya Borisovska ha trentatré anni. A differenza di molti altri è nell’esercito regolare da quando ne ha venti. Nel 2014 dopo l’invasione da parte russa della Crimea e la guerra in Donbass, chiede ai suoi superiori di essere mandata a combattere. Quando parla, raccontando come un fiume in piena anni di vita compressa dalle emozioni, elenca una dopo l’altra, come fossero solo semplici località turistiche, i luoghi dove è stata a combattere e dove ha diretto unità di intelligence. Quando dice Debaltseve il suo vortice di parole si arresta, rallenta: «Ci sono fatti che non riesco a dimenticare. Dovevamo eliminare alcuni cecchini che stavano massacrando i nostri soldati. Siamo dovuti andare a stanarli. Due li abbiamo catturati, altri uccisi».

Nella tragica ritirata dalla città di Debaltseve avvenuta nel 2016, in totale l’Ucraina ha perso centinaia di uomini, tra caduti e feriti. «Ci sono cose che fingo di non ricordare, che metto da parte. Ma ho segnato tutte le date più importanti, una per ogni persona che non c’è più. E quando arriva una di quelle date mi chiudo in me stessa, non rispondo a nessuno. Ci sono momenti in cui devo prendere dei calmanti e urlo in silenzio coprendomi la bocca e poi, quando esco dalla mia camera e vado a incontrare le persone del mio plotone, faccio finta che tutto sia a posto, ma non è così. È rimasto tutto dentro di me. Scrivo poesie, dipingo. Solo un modo per far uscire tutto quello che mi fa ancora male». Il record di uomini uccisi, più di cento, lo detiene “Ghost”, il più preparato e spietato. Come l’altra donna cecchino dell’unità, nominata da tutti, ma che evita di farsi vedere in giro. Fantasmi. 

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