Zaki condannato a tre anni in Egitto, dovrà scontare 14 mesi. L'urlo della madre: «Mio Dio, me l'hanno preso». Meloni: «Nostro impegno continua»

Zaki è stato portato via dall'aula attraverso il passaggio nella gabbia degli imputati

Zaki condannato a tre anni di carcere in Egitto, le urla della madre e della fidanzata in aula
Zaki condannato a tre anni di carcere in Egitto, le urla della madre e della fidanzata in aula
Martedì 18 Luglio 2023, 14:06 - Ultimo agg. 19 Luglio, 14:11
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Patrick Zaki è stato condannato a tre anni di carcere con una sentenza inappellabile che deve essere formalizzata da un governatore militare. Ma può ancora sperare in un atto di clemenza del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, messo sotto pressione anche a livello nazionale dal kafkiano caso del ricercatore egiziano dell'Università di Bologna. Buio carcerario ma anche barlume di speranza, insomma. 

Le urla di disperazione della madre Hela e della fidanzata Reny hanno accompagnato la fine dell'undicesima udienza del processo svoltasi a porte chiuse a Mansura e conclusa con il laconico annuncio fatto da un uomo della sicurezza nell'aula al terzo piano del Palazzo di Giustizia di Mansura: «Tre anni». Questa la condanna alla reclusione inflitta dalla seconda Corte per la sicurezza dello Stato a Patrick per presunta diffusione di notizie false in un articolo da lui firmato sulle discriminazioni ai danni dei copti, i cristiani d'Egitto. «Mio Dio, me l'hanno preso», ha urlato almeno tre volte la madre colpendosi il volto con le mani dopo aver intravisto la sagoma del figlio inghiottita dalla penombra dietro una polverosa grata.

Anche calcolando i 22 mesi di custodia cautelare già passati in carcere dal febbraio 2020 al dicembre 2021, si tratterebbe pur sempre di 14 mesi durante cui Zaki dovrebbe ancora languire in una cella. La mamma 59enne era parsa presentire l'epilogo e aveva passato le quasi quattro ore della sessione in cui era inserita l'udienza di Patrick incollata alla porta chiusa dell'aula, a tratti con le lacrime agli occhi e appoggiando la fronte a uno stipite.

 La condanna, formalmente inappellabile anche se deve essere ratificata da un governatore militare che può annullarla del tutto o ordinare un nuovo processo, ha innescato - oltre allo sdegno in Italia e la condanna di Amnesty - due dimissioni eccellenti in un'iniziativa lanciata da Sisi per dimostrare che ascolta almeno una parte dell'opposizione: il cosiddetto 'Dialogo nazionalè annunciato nella primavera dell'anno scorso e lanciato ufficialmente a inizio maggio. Assieme a un terzo componente, hanno sbattuto immediatamente la porta Negad El Borai, componente del Consiglio dei segretari del Dialogo, e Khaled Dawoud, noto oppositore e relatore aggiunto del Comitato partiti politici. 

 

Un mezzo terremoto per la politica interna egiziana che ha spinto il coordinatore generale del Dialogo, Diaa Rashwan, a chiedere al presidente «di utilizzare i suoi poteri legali e costituzionali per l'immediato rilascio» di Zaki e «di non far eseguire la sentenza». Con una celerità e un sincronismo che paiono tracciare una via estremamente rapida, il segretario del Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati egiziana e soprattutto componente della Commissione per la grazia presidenziale, Mohamad Abdelaziz, ha reso noto che il proprio organismo «ha ricevuto rassicurazioni sul ricercatore Patrick George Zaki e altri. Dalla riattivazione del Comitato per la grazia presidenziale e dall'avvio del dialogo nazionale, percepiamo uno spirito positivo e continuiamo a confidare nella volontà del presidente Al-Sisi di usare i suoi poteri costituzionali per il bene pubblico e per creare un clima democratico». Un incrocio di richieste e rassicurazioni che pare giustificare quella «fiducia» manifestata dalla premier Giorgia Meloni dopo l'annuncio della sentenza. «Dove lo portano? Dove lo portano?», aveva urlato la fidanzata mischiando le sue urla a quelle della madre. Le ha risposto nel tardo pomeriggio, parlando con l'ANSA, un legale di Patrick, che ha segnalato il 32enne ricercatore presso la direzione di polizia di Mansura. L'Eipr, l'ong egiziana per cui lavorava l'attivista, ha precisato che il fermo in tribunale è stato eseguito in vista di un suo trasferimento al commissariato di Gamasaa, sulla costa del delta del Nilo. Ma l'attenzione ora è solo sul Kasr Al Ittihadia, il palazzo presidenziale di Sisi al Cairo.

 

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