Dipendenti pubblici nel Mezzogiorno i tagli più pesanti che al Nord

Dipendenti pubblici nel Mezzogiorno i tagli più pesanti che al Nord
di Nando Santonastaso
Giovedì 25 Febbraio 2021, 08:47 - Ultimo agg. 26 Febbraio, 08:05
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Non è solo una questione, per quanto di enorme rilevanza, di tagli di personale, blocco del turn over o riduzione di trasferimenti dallo Stato agli enti locali. Dietro la crisi della Pubblica amministrazione del Mezzogiorno c'è soprattutto un modello di gestione della spesa pubblica allargata che, piaccia o no, negli ultimi 15 anni ha inciso pesantemente sul futuro di quest'area. Meno risorse al Sud, tante, troppe (Svimez parla di oltre 60 miliardi all'anno), hanno drasticamente ridotto gli investimenti e di conseguenza condannato il Pil ad una discesa tanto netta quanto non ancora recuperata. Inoltre, hanno marcato una differenza in termini di Pil pro capite che ancora oggi racconta di un Paese a due velocità, che al Nord garantisce una media di 17mila euro a testa e nel Mezzogiorno poco più di 13mila.

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Basta forse questo dato a spiegare perché il rafforzamento della macchina pubblica al Sud, di cui lo stesso premier Draghi ha parlato nel suo primo intervento in Parlamento, non è un problema che riguarda unicamente gli statali ma il rispetto dei diritti di cittadinanza di chi vive in quest'area, passando per quella «rigenerazione amministrativa» che dovrebbe consentire alla macchina pubblica anche al Sud di aspirare almeno alla stessa competitività della media nazionale.

Dice Ignazio Ganga, segretario confederale Cisl della Funzione pubblica: «Avevamo trovato nel Piano Sud 2030 dell'allora ministro Provenzano la previsione di 10mila nuovi posti per giovani nella Pa del Mezzogiorno, sia pure per 36 mesi, skillati in funzione delle nuove competenze, digitali in testa.

Poi è arrivata la pandemia ma nella legge di Bilancio 2021 ne sono stati previsti 2.800: è un'indicazione che non tiene conto solo del fatto che l'età media nella Pa è superiore ormai ai 54 anni ma anche del fatto che il Sud non ha più recuperato i contraccolpi delle crisi del 2008 e del 2012. Dunque, è ancor più decisivo, specie dopo l'emergenza da Covid-19, raggiungere gli obiettivi di coesione sociale e territoriale».


Da tempo, per fortuna, la leggenda di un Mezzogiorno straboccante di dipendenti e funzionari pubblici in rapporto alla popolazione ha ceduto il passo alla verità dei fatti. Si è ormai ad esempio capito che il peso di una Regione a statuto speciale come la Sicilia, considerata la «patria del lavoro pubblico», è del tutto analogo, in rapporto alla popolazione, a quello delle omologhe Regioni del Nord, dalla Valle d'Aosta al Trentino Alto Adige dove non a caso la percentuale di dipendenti pubblici è nettamente più alta delle Regioni a statuto ordinario. Ma soprattutto si è preso atto che dei 300mila statali in meno calcolati tra il 2008 e il 2018 (ma si sale a 550mila se si allarga il periodo al 1991) quasi la metà lavorava al Sud. Sfiora gli 8 punti percentuali il calo meridionale contro i 4,5 del Centro (con Roma capitale che assorbe una quota rilevante di colletti bianchi) e il 4,1 del Settentrione. Ma a dare l'idea di una narrazione strumentale sul rapporto tra pubblici e popolazione contribuiscono anche altri dati: quelli, ad esempio, sulla composizione settoriale. Nella sanità, ad esempio, il personale del Servizio sanitario nazionale del Nord arriva al 25 per cento della forza lavoro pubblica complessiva mentre nel Mezzogiorno si ferma al 17 per cento. «La differenza si riflette nelle dotazioni in rapporto alla popolazione: 51 addetti ogni mille anziani al Nord e 43 al Sud. Nel confronto non consideriamo le regioni del Centro poiché includono la maggior parte dei lavoratori delle amministrazioni centrali dello Stato», spiega Lucia Rizzica, ricercatrice di Banca d'Italia e autrice di un importante report sul tema per conto de Lavoce.info.


Sempre più anziani e sempre di meno, dunque, per di più alla vigilia della spesa dei fondi del Next generation Eu. Sembra un fallimento quasi annunciato quello che attende il personale della Pa, al netto delle sacche di inefficienza e scarsa produttività fin troppo note. Il fatto è che il salto di qualità, a cominciare dalla capacità progettuale, tallone d'Achille di molte amministrazioni pubbliche del Sud, soprattutto di piccole e medie dimensioni, è stato reso ancor più difficile dal blocco delle assunzioni imposto dall'esigenza di contenere la spesa pubblica. Dal 2007 al 2018, lo stop parziale del turn over, con la possibilità di assunzione di nuovo personale solo nel limite del 10-25 per cento di quello cessato, ha desertificato settori strategici della macchina pubblica. Per restare alla sanità, il Sistema sanitario nazionale ha perso in tutta Italia circa 50mila addetti contro un aumento di circa 1,8 milioni di persone della popolazione con oltre 64 anni di età. L'impatto sulla rete assistenziale del Mezzogiorno, come detto, è stato il più pesante.


Da qui alla difficoltà di reperire sul territorio le competenze necessarie agli enti locali il passo è stato breve. Al punto che la fuga dalla Pa di 42mila dipendenti che nel solo 2019 hanno utilizzato Quota 100 ha finito per allargare ulteriormente il vuoto degli organici. Attenzione, 42mila non è un numero basso: è vero, la previsione è che uscissero in 100mila ma in realtà, se si considera che i dipendenti pubblici sono circa 3,2 milioni contro i 15 milioni del settore privato, Quota 100 ha riscosso in termini relativi più adesioni. Non a caso lo stesso presidente Inps, Tridico, ha detto che sommando i pensionamenti anticipati ordinari e quelli di Quota 100, il numero di chi ha lasciato l'ufficio pubblico senza aspettare l'età di vecchiaia è triplicato.

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