Elezioni amministrative, in gioco nelle grandi città i nuovi equilibri tra i partiti

Elezioni amministrative, in gioco nelle grandi città i nuovi equilibri tra i partiti
di Massimo Adinolfi
Sabato 2 Ottobre 2021, 08:56 - Ultimo agg. 3 Ottobre, 08:09
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Da Nord a Sud, un migliaio di comuni va al voto e una nuova geografia politica si viene disegnando. A Palazzo Chigi siede ottimamente Draghi, ma sotto il coperchio la pentola ha ricominciato a bollire: il centrodestra fatica a trovare una fisionomia unitaria, il centrosinistra di nuovo conio, con Pd e Cinque Stelle a braccetto, si vede solo qua e là; deve ancora capire se crescerà e cosa farà da grande. Meloni e Salvini si giocano la leadership della coalizione (Salvini se la gioca anche all'interno del suo partito), e in certo senso Letta e Conte fanno altrettanto: l'ex premier si considera tuttora il più alto in grado, anche se per i Cinque Stelle si tratta di una ripartenza dalle mille incognite; Enrico Letta, invece, si augura che le principali città premino i suoi candidati e restituiscano centralità al Pd. Con Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli, il voto amministrativo prende inevitabilmente un più ampio significato politico. Si tratta di capire quale.


A Milano, la partita sembra già chiusa. La riconferma di Beppe Sala viene data per sicura, o quasi: rimane il dubbio se si andrà o meno al ballottaggio.

Il centrodestra ha avuto difficoltà a trovare il candidato condiviso, e nel corso della campagna elettorale s'è vista più di una crepa. Fratelli d'Italia cerca di allargare il proprio bacino al Nord, nel campo della Lega, proprio come la Lega di Salvini ha cercato di sfondare al Sud: ma forse non sarà questa la tornata migliore per far crescere le rispettive ambizioni. È interessante anche capire come andranno i Cinque Stelle, che si presentano da soli. Conte ha offerto i voti pentastellati a Sala, che gli ha risposto: no, grazie. Un po' i voti li ha già, anche se non si sa se basteranno al primo turno, un po' non ha voglia di cambiare i connotati di un progetto politico riformista, a cui non è chiaro cosa il nuovo corso di Conte aggiungerebbe. Almeno al Nord. Il nuovo centrosinistra, al momento, non passa per Milano.

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A Torino, Chiara Appendino non si è ricandidata: scelta obbligata, visti i sondaggi. I Cinque Stelle sono in campo con Valentina Sganga, capogruppo uscente, parecchio indietro rispetto alle due coalizioni, impegnate in un testa a testa (sempre secondo i maghi dei numeri); al secondo turno, dunque, l'eventuale appoggio pentastellato al candidato di centrosinistra, Stefano Lo Russo, potrebbe fare la differenza. Ma per la sindaca non è il caso di parlare di apparentamenti: il Pd è come la destra, ha dichiarato, attestandosi quindi molto lontano dalla linea Conte. Il voto è però importante anche per il centrodestra, che si presenta con un candidato moderato, Paolo Damilano: non è un caso se Giorgetti, il suo primo sponsor, da quella parti si sia fatto vedere. In attesa di capire se davvero ci siano due Leghe e se siano pronte a darsi battaglia a congresso, ciascuno si sceglie le pedine e ci mette sopra le sue fiches. Se Damilano vincesse, sarebbe il volto pragmatico e liberista della Lega a guadagnarci innanzitutto.

A Bologna il centrosinistra si aspetta di vincere con Matteo Lepore. L'ex assessore della giunta Merola non ha solo il sostegno del suo partito, il Pd, ma anche dei Cinque Stelle e del pezzo riformista che, nelle primarie, ha votato Isabella Conti. Il capoluogo emiliano è l'unico in cui si siano tenute primarie competitive, vere, e udite udite! le strade dopo non si sono divise. Lepore aspira così a fare di Bologna la città più progressista d'Italia, ed è probabile che sotto le due torri Letta raccolga un buon risultato. Il centrodestra presenta un candidato, Fabio Battistini, che per recuperare accentua il suo profilo civico, ma il risultato non sembra in discussione. Piuttosto, è da vedere il voto di lista, per capire chi finirà davanti nel centrodestra, ma anche quanti voti raccoglieranno i fuoriusciti del Movimento, rimasti ostili al tema contiano delle alleanze.

A Roma si gioca probabilmente la partita più rilevante. Qui il centrosinistra corre diviso, e questo avrebbe dovuto rendere facili le cose al centrodestra. Ma Michetti, scelto dalla Meloni dopo molte titubanze, non ha mai veramente convinto: fino a poche settimane fa, le liste di partito erano date sistematicamente davanti al candidato. La leader di Fratelli d'Italia si gioca molto: perdere il Campidoglio, dove il centrodestra partiva favorito, sarebbe una sconfitta; se poi Michetti non arrivasse nemmeno al ballottaggio sarebbe un disastro. Gli ultimi giorni han visto crescere Calenda, che si è guadagnato pure l'endorsement di Giorgetti. Le carte, si sono dunque mescolate. La Raggi non ha voluto saperne di farsi da parte, e il suo risultato peserà nelle dinamiche interne al Movimento: Conte può solo augurarsi che vada bene, ma non poi troppo. Quanto a Gualtieri, pure lui sembra trainato dal partito, anziché trainare. Però se porta in dote al Pd Roma, Letta può dormire tranquillo almeno fino alle prossime politiche. Una vittoria dell'outsider Calenda sarebbe invece un big bang. Del partito romano e forse anche del partito nazionale.

Napoli è stata la prima scelta di Conte, che è venuto in città più e più volte. Manfredi ha messo d'accordo un po' tutti: il Pd, De Luca, i Cinque Stelle (anche se una lista di irriducibili, guidata da Brambilla, non ha voluto saperne). Qualche aiuto glielo ha dato anche il centrodestra, per la verità: Maresca non si è fatto amare dai partiti, puntando molto sulla sua figura e sul significato civico, locale del voto, mentre la Lega ha pasticciato e la sua non è stata ammessa. C'è infine l'incognita Bassolino, che non ha eguali negli altri confronti cittadini. Al di là del successo personale, qualcosa può cambiare solo se l'ex sindaco dovesse arrivare al ballottaggio. Francamente improbabile, ma non impossibile.

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