Meloni: «Non posso dire sì al Patto di stabilità se non posso rispettarlo»

La premier in un punto stampa al termine del vertice Ue

Meloni: «Non posso dire sì al Patto di stabilità se non posso rispettarlo»
Meloni: «Non posso dire sì al Patto di stabilità se non posso rispettarlo»
Venerdì 15 Dicembre 2023, 15:35 - Ultimo agg. 16 Dicembre, 10:22
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 La miccia stavolta ce l’ha in mano Giancarlo Giorgetti. Neppure Giorgia Meloni però, da Bruxelles, pare poi tanto disposta a imbracciare una manichetta antincendio. La saga delle trattative italiane in Europa si arricchisce di un nuovo avvincente capitolo che se a tratti preconizza un niet nostrano alla firma prevista il prossimo 20 dicembre (con tanto di slittamento al 2024 concordato con i francesi per dare un segnale ai frugali), a tratti sembra invece andare verso l’esatto opposto.

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Posizioni negoziali ovviamente, concordate da Palazzo Chigi e il ministro del Tesoro. Non è un caso quindi se Giorgetti assesta un gancio mica male ai Ventisette proprio mentre la premier si trova in balía di un Consiglio Ue che già vede naufragare ogni possibilità di un’intesa sul bilancio 2021-2027: «Ritengo scarse le possibilità di arrivare a un accordo settimana prossima all’Ecofin» carica. «C’è un negoziato - scandisce dal palco di Atreju - in cui abbiamo contro la maggioranza dei paesi, guidati dalla Germania, che si ispirano a un criterio di frugalità o austerità.

Abbiamo fatto dei progressi e la proposta di compromesso fa passi in avanti nella direzione che chiedevamo. Certamente non è quella che era la posizione italiana».


LA DRAMMATIZZAZIONE
Una drammatizzazione che Meloni sposa però solo in parte. «Bisogna lavorare ora dopo ora» dice ai cronisti, sottolineando come le attuali «posizioni abbastanza distanti» non precludano affatto una soluzione positiva all’Ecofin di mercoledì. «Penso che un accordo si possa e si debba trovare, ma non posso dire che lo abbiamo trovato» aggiunge riferendosi all’intesa finale. D’altro canto proprio il Patto di stabilità, pur non essendo formalmente oggetto del Consiglio europeo, è stato tema centrale di alcuni colloqui a margine tenuti dalla premier. In particolare di quello più lungo in cui, appartati in un hotel vicino alla Grand-Place di Bruxelles, con il francese Emmanuel Macron hanno provato a «costruire una convergenza» per dirla con le parole meloniane, o una «soluzione di compromesso» per usare invece quelle dell’inquilino dell’Eliseo. Tradotto: il testo non può considerarsi ancora chiuso, come invece sostengono più fonti europee.

Vale a dire, spiegano ai vertici dell’esecutivo nostrano al Messaggero, che qualora mercoledì non si riprenda a negoziare, Meloni e Macron hanno in mente di far slittare la firma per continuare a lavorare al nuovo Patto, anche per altri 6 mesi, rimandando tutto a dopo le elezioni europee. Una fase transitoria fino a giugno 2024 che però, nelle intenzioni italo-francesi, sarebbe legittimata solo se non accompagnata dall’entrata in vigore delle vecchie regole del Fiscal Compact né, come da richiesta originaria, dalle linee guida già definite dalla Commissione per il periodo di interregno. E proprio questo, infatti, è uno dei nodi che bisognerà sciogliere. Anche per questo sia Giorgetti che la premier contestano «il metodo» con cui i Ventisette vogliono arrivare al via libera, e cioè con una video-call dei ministri del Tesoro che sa tanto di un’accelerazione imposta dalla presidenza di turno spagnola per derubricare l’incontro a semplice occasione di ratifica. «Che io vada a chiudere un accordo che condiziona l’Italia per i prossimi 20 anni in videconferenza...anche no, grazie» istruisce la pratica Giorgetti. «Quello che ho imparato sulle trattative è che le interlocuzioni a margine spesso sono molto più utili di quello che si dice nel confronto» sottolinea Meloni. Il senso del messaggio meloniano pare essere un “si continua a trattare”. Tant’è che, a riprova della disponibilità italiana, la premier allontana due delle minacce agitate fino a questo punto della trattativa: da un lato il veto sul Patto diventa quasi una boutade dell’ex presidente del Consiglio Mario Monti («Addirittura Mario Monti dice: mettete il veto. Se la mettiamo così, non è un buon modo di cercare delle sintesi con gli altri»), dall’altro, pur rivendicandola, si allentano i lacci della logica «a pacchetto» che legherebbe l’approvazione del Mes al Patto di stabilità. Un «link» che «vedo solo nel dibattito italiano» dice infatti Meloni.


LA MONETINA
A voler sintetizzare il tutto senza ricorrere alle metafore giorgettiane («Quando sei in 27 è impossibile decidere, chiunque ha esperienze di assemblee di condominio ha un’idea di come funzioni»), per chi segue il dossier accanto a Meloni l’asticella del “sì” al Patto sarebbe ben distante dal «90%» ventilato dal francese Bruno Le Maire. «C’è il 50% di possibilità» spiega. «Mercoledì sarà quasi come tirare in aria una monetina». E non solo per l’asse Roma-Parigi. Una parte delle titubanze italiane pare sia dettata anche dalla volontà di non far appuntare sul petto di Nadia Calviño, ministra delle Finanze spagnola (Madrid ha la presidenza di turno della Ue fino a fine anno) e prossima presidente della Banca europea degli investimenti (Bei) in virtù di un accordo con la Germania, la stelletta di una trattativa conclusa. Non con un veto però, ma con un po’ di sano «attendismo» all’italiana. 

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