«Milano assorbe e non dà», scontro sulla città sanguisuga

«Milano assorbe e non dà», scontro sulla città sanguisuga
di Marco Esposito
Martedì 12 Novembre 2019, 07:00 - Ultimo agg. 18:44
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«Le politiche più efficaci per avvicinare l'Italia all'Europa sono anche quelle che aumentano la distanza tra Milano e Napoli, tra aree avanzate e arretrate del paese». L'economista Guido Tabellini, a lungo rettore della Bocconi, in un articolo dello scorso maggio sul Foglio la spiegava così. Come una scelta che egli stesso definiva «non indolore» eppure in un certo senso inevitabile. Il ministro del Sud, Beppe Provenzano, però non ci sta e ieri, parlando proprio a Milano, ha messo la città lombarda sotto accusa: «Tutti decantiamo Milano, non è la prima volta nella storia d'Italia che è un riferimento nazionale. A differenza di un tempo, però, oggi questa città attrae ma non restituisce quasi più nulla di quello che attrae. Intorno ad essa si è scavato un fossato: la sua centralità, importanza, modernità e la sua capacità di essere protagonista delle relazioni e interconnessioni internazionali non restituisce quasi niente all'Italia». La risposta a Provenzano è arrivata, tanto sollecita quanto piccata, dal sindaco Giuseppe Sala: Milano «restituisce nella misura in cui ci viene chiesto e nella misura in cui veniamo messi in condizione di farlo. Per esempio, le ex municipalizzate milanesi sono un esempio di buona gestione. Vogliamo trovare una formula per cui allargano il loro raggio di azione anche altrove? Parliamone». Da buon milanese, viene da notare, Sala ha subito provato ad aumentare il giro d'affari delle proprie municipalizzate.

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Ma è vero che Milano assorbe e non dà? Ed è inevitabile che sia così? Il primo dato da andare a spulciare è il Fondo di solidarietà comunale, un salvadanaio nel quale dal 2015 i comuni ricchi versano a favore di quelli più deboli. Milano, che ha oltre 400 euro a testa di capacità fiscale superiore alla media, è di gran lunga la città più solidale. Ma a chi va questa solidarietà? Quasi tutta a... Milano. Infatti alla città milanese sono stati riconosciuti diritti di 350 euro sopra la media nazionale per cui, dopo aver garantito a se stessa i propri superservizi, restano appena 59 euro per i non milanesi. A svelare i conti e spiegare il trucco è stato tre anni fa proprio un milanese, l'economista Alberto Zanardi, componente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Però la sua denuncia non ha scosso il cuore di Sala né ha portato un cambiamento delle regole del Fondo di solidarietà comunale.

Lo stesso fondo, peraltro, non considera tutte le entrate comunali. La tassa di soggiorno - che pure secondo le regole approvate doveva entrare nel paniere per garantire un po' di solidarietà ai Comuni (anche del Nord) che sono fuori dai circuiti turistici, resta tutta a Milano. Sono 45 milioni di euro, il 10% del totale nazionale, un valore secondo soltanto a Roma e sei volte superiore ai 7,5 milioni di Napoli. Inoltre proprio le municipalizzate milanesi citate da Sala garantiscono entrate extra, non toccate da alcun principio di solidarietà. Eppure quando nel 1962 nacque l'Enel e si decise di assorbire l'attività elettrica delle società esistenti, comprese le napoletane Sme e Volturno (Eav), Milano come altre città del Nord mantenne la sua Aem, poi diventata A2A.

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E ancora. Milano ha avuto una forza attrattiva straordinaria nel settore del credito. Spettacolare è la vicenda del Banco Ambrosiano. L'istituto, protetto dalla loggia P2, si avventurò in acrobazie finanziarie prive di scrupoli che si conclusero con la misteriosa morte a Londra del presidente Roberto Calvi il 17 giugno 1982 e il fallimento della banca il 6 agosto 1982. In un'altra città, la storia si sarebbe chiusa lì. Ma a Milano l'Ambrosiano era un'istituzione. L'istituto il 9 agosto fu rifondato con capitali pubblici e privati. Il Nuovo Banco Ambrosiano prima si fuse con la Cattolica del Veneto (1989), poi assorbì Cariplo (1998), Comit (2001) e Sanpaolo-Imi (2007) il quale ha sua volta aveva inglobato il Banco di Napoli. Oggi nessuno guardando le insegne di Banca Intesa pensa più al bancarottiere Calvi.

Ma a creare davvero un distacco tra Milano e il resto d'Italia è stata la vicenda Expo. Nonostante la fase preparatoria (2009-2014) abbia coinciso con la più pesante crisi finanziaria della storia economica mondiale, i soldini per l'Expo non sono mai mancati e ogni legge finanziaria ha imposto un sacrificio a tutti i contribuenti pur di non fermare l'Expo. Difficile tenerne la contabilità, ma se si considerano i costi sostenuti dalla società Expo 2015 (di cui Sala è stato a lungo amministratore delegato) si superano i 2 miliardi di euro. E non finisce qui. Mentre in tutte le città che ospitano grandi eventi c'è una fase di sbandamento quando la festa finisce, per l'Expo il governo ha immediatamente progettato un piano di conversione, assegnando proprio a Milano la sede dell'Human Technopole, cioè un centro di ricerca sul genoma umano al quale il governo Renzi ha promesso in via preferenziale un finanziamento di 150 milioni annui per dieci anni. È stata ancora una volta una milanese eccellente, la biologa e senatrice a vita Elena Cattaneo, a sottolineare come si stesse convogliando sul polo milanese più dei soldi assegnati a tutto il resto della ricerca italiana. Invano.

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Milano assorbe risorse, cervelli, eventi (ha provato a soffiare a Torino persino il Salone del Libro). La caccia ai primati aveva però un limite che la città si era autoimposta: nessun palazzo poteva superare i 108,50 metri della Madonnina. E così i grattacieli più alti d'Italia sono stati realizzati a Napoli, al Centro direzionale, che ha mantenuto il primato nazionale fino a dieci anni fa. Poi però Milano ha voluto anche quel titolo e oggi ha due torri oltre i 200 metri. E la Madonnina? Per non offenderla, hanno messo sul tetto dei grattacieli una copia di quella dorata del Duomo. Cosa non si fa pur di guardare tutti dall'alto in basso.
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