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Pd, i 5 (clamorosi) errori, dalla caduta di Draghi alle primarie infinite: così i Dem rischiano l'estinzione

Il partito, da quando è nato (nel 2007) non ha mai vinto le elezioni politiche

Pd, i 5 (clamorosi) errori, dalla caduta di Draghi alle primarie infinite: così i Dem rischiano l'estinzione
Pd, i 5 (clamorosi) errori, dalla caduta di Draghi alle primarie infinite: così i Dem rischiano l'estinzione
di Ernesto Menicucci
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 12 Gennaio 2023, 12:02 - Ultimo agg. : 13 Gennaio, 06:53
5 Minuti di Lettura

Nella politica, come nella vita, ci sono le fasi. O le parabole. Quella del Pd, da diversi mesi (anni?) a questa parte sembra costantemente discendente. Un partito che, da quando è nato, nel 2007, non ha mai vinto le elezioni politiche, che anzi è andato via via sempre peggio (si è passati da un discreto risultato nel 2008, la "non vittoria" di Bersani nel 2013, la sconfitta ma contenuta nel 2018 quando in realtà tra M5S, centrodestra e centrosinistra non vinse nessuno, la batosta nel 2022) e che sembra entrato in una spirale negativa dalla quale è difficile venire fuori tanto che alcuni dirigenti paventano il rischio di "estinzione": "Rischiamo di fare la fine dei socialisti francesi", dicono in molti. Cioè un partito sempre più schiacciato da sinistra (M5S) e dal centro (Terzo Polo), e sempre più irrilevante.

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Senza andare alla notte dei tempi, ma dalla crisi di governo di quest'estate, si possono contare almeno 5 mega-errori di strategia politica commessi dai dem.

 

Errore 1, legare le sorti dell'Allenza con M5S a quelle del governo Draghi

Il diktat, di Enrico Letta ma anche di Dario Franceschini ed altri esponenti dem, era di quest'estate, quando i grillini avevano già minacciato di far cadere il governo Draghi (cosa che poi hanno fatto, aiutati dalla destra berlusconiana e salviniana): "Stop al campo largo di centrosinistra se uscite dalla maggioranza di governo", era stato il mantra ripetuto dai piddini. Errore tattico e strategico. Il governo Draghi era comunque morente, in piena fibrillazione in realtà già da quando al premier non era riuscito lo "switch" verso il Quirinale, qualcuno prima o poi avrebbe staccato la spina. Legarsi mani e piedi a quel diktat verso i Cinquestelle ha prodotto due effetti, nefasti per il Pd: dire addio di fatto all'unica alleanza possibile (e più o meno omogenea su molti punti) e rinvigorire i grillini, partito che sembrava in crisi nera. Così, invece, giocando in solitaria e contro il Pd, Conte & co. hanno recuperato consensi, specie al Sud.

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Errore 2, il balletto delle alleanze in campagna elettorale

Secondo errore, decidere di non decidere. Tramontato ogni possibile accordo con M5S, Enrico Letta era di fronte ad un bivio: allearsi con la sinistra oppure scegliere come partner il Terzo Polo di Calenda e Renzi. Pensare di tenere insieme entrambe le cose, nel nome del fronte democratico contro le destre, è stato un altro tragico errore che ha ulteriormente indebolito i dem, tra rimpalli di accuse e una telenovela stile-Beautiful. Alla fine il Pd è andato con Sinistra-Verdi, l'alleato meno forte, finendo di fatto isolato alle Politiche: mossa pagata pesantemente specie nei collegi uninominali. E anche il Terzo Polo, a quel punto, ha potuto giocare in proprio, come M5S

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Errore 3, le mancate dimissioni di Letta dopo il 25 settembre

Perse sonoramente le elezioni a settembre, il segretario Enrico Letta non si è dimesso. Formalmente è alla guida del Pd, ma è una guida azzoppata, debole, senza vera autonomia decisionale: sul futuro, sulle alleanze, sulla strada da intraprendere. Di fronte al risultato elettorale, i dem avevano due strade: fare subito le primarie (saltando una fase congressuale incomprensibile ai più) e dotarsi di un segretario con pieni poteri, o comunque eleggere un segretario "traghettatore", che avrebbe avviato la Costituente di sinistra del partito ma che avrebbe anche potuto iniziare a trattare con le altre forze del centrosinistra, ragionando su eventuali rassemblent.

Errore 4, le anacronistiche discussioni sulle regole delle primarie

Le primarie sono un tratto identitario del Pd, fin dalla sua nascita, ma nel tempo sembrano diventate uno stanco rituale, specie in certi momenti. Affluenza sempre più bassa, peso sempre maggiore del voto degli iscritti (quindi dell'apparato), tanto che dei quattro candidati alla segreteria alla fine ne andranno soltanto due alle primarie vere e proprie. Aveva senso passare intere giornate a discutere se accettare, e in che misura, il voto online? Morettianamente, sembra la riedizione del "si nota di più se non vengo o se vengo e sto da una parte?". Fa sorridere, in un film. Ma oggi, col mondo che gira al triplo della velocità, gli altri partiti che si muovono, sembra davvero tutto anacronistico.

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Errore 5, le alleanze alle Regionali e il rischio della doppia sconfitta

I dem avrebbero (o avevano?) l'opportunità di "battere un colpo" nei confronti del centrodestra governante in Italia: il voto alle Regionali di Lazio e Lombardia, primo appuntamento politico del post 25 settembre, che diventa inevitabilmente il primo test per il governo. Per una serie di vicende, e con un altro tipo di premesse, il centrosinistra avrebbe potuto giocarsela in entrambe le situazioni: nel Lazio perché il centrosinistra è, calcisticamente parlando, "campione uscente" dopo 10 anni di governatorato di Nicola Zingaretti; in Lombardia perché la spaccatura nella giunta di Fontana, con l'uscita di Letizia Moratti, aveva aperto la strada ad un possibile, e clamoroso, ribaltone (il centrodestra ha sempre vinto in Regione Lombardia). E invece, almeno da pronostico iniziale, il Pd potrebbe venire "azzoppato" nel Lazio dai Cinquestelle e in Lombardia dal Terzo Polo con Moratti. E' il quinto errore, logica conseguenza degli altri quattro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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