Recovery plan, i deputati del Sud in campo: «Basta tagli sui fondi europei»

Recovery plan, i deputati del Sud in campo: «Basta tagli sui fondi europei»
di Nando Santonastaso
Domenica 20 Dicembre 2020, 12:00 - Ultimo agg. 16:20
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Si muovono i parlamentari, meridionali soprattutto, ma forse non solo loro. E di ogni partito, da destra a sinistra, con l'unica eccezione della Lega. Trasversale come sui temi che contano la mobilitazione per evitare che al Mezzogiorno venga destinato nel Recovery Plan solo il 34% delle risorse straordinarie dell'Ue. Raccolto rafforzato il senso d'iniziativa promossa dal governatore della Campania, Vincenzo De Luca, e alla quale hanno aderito i governatori di tutte le altre Regioni meridionali. Con loro anche le associazioni più impegnate sui temi del Mezzogiorno, opinionisti, intellettuali. Il fronte del Sud approda a Montecitorio in attesa che il premier Conte risponda alle sollecitazioni delle Regioni, fissando la data dell'incontro richiesto 48 ore fa. In calce alla lettera che invita alle adesioni i loro colleghi, ci sono per ora 15 firme, dal Pd a Italia Viva, da Forza Italia a Fratelli d'Italia, da Leu-Articolo Uno ai 5 Stelle. Sono i promotori dell'intergruppo Recovery per il Mezzogiorno che mercoledì prossimo usciranno anche fisicamente allo scoperto con una conferenza stampa: Catello Vitiello (Italia Viva), Piero De Luca (Pd), Luigi Iovino (5 Stelle), Federico Conte (Articolo Uno), Salvatore Caiata (Fratelli d'Italia), Antonio Pentangelo (Forza Italia), Flora Frate (ex 5 Stelle, ora Indipendente), Giusy Bartolozzi (Forza Italia), Camillo D'Alessandro (Italia Viva), Vito De Filippo (Pd), Umberto Del Basso De Caro (Pd), Valeria De Lorenzo (5 Stelle), Carmen Di Lauro (5 Stelle), Marcello Gemmato (Fratelli d'Italia), Conny Giordano (5 Stelle), Gennaro Migliore (Italia Viva), Carlo Sarro (Forza Italia), Raffaele Topo (Pd) e Carolina Varchi (Fratelli d'Italia). Quindici per partire ma l'obiettivo è di arrivare almeno a quota 100 e stavolta per aggregare.

«Questo è il momento dell'unità da parte dei rappresentanti parlamentari del Mezzogiorno, che al di là di vedute diverse rispetto ad orientamenti politici personali, devono fare uno sforzo di sintesi lavorando in sinergia affinché il Recovery Fund sia per il Sud ciò che il Piano Marshall è stato per l'Italia del dopoguerra», scrivono i promotori.

Che rilanciano con l'iniziativa la centralità del Parlamento, mai troppo coeso e determinato in passato (anche recente) quando bisognava schierarsi dalla parte del Mezzogiorno. Esplicito l'obiettivo, «attivare ogni iniziativa utile per ampliare la quota del 34% e per superare il criterio della spesa storica, così da giungere alla perequazione tra le diverse aree del Paese nella programmazione degli investimenti e nell'allocazione delle risorse».

Altrettanto chiara per quanto scontata la premessa, i 209 miliardi del Recovery Fund devono diventare un'occasione decisiva per ridurre il divario tra il Sud e le altre aree del Paese. I criteri fissati da Bruxelles (popolazione, reddito pro capite e tasso medio di disoccupazione) troppo evidenti per non essere rispettati: «Il Sud scrivono i deputati dell'intergruppo - ha un tasso di disoccupazione quasi dell'11% in più rispetto al Nord e un reddito che è la metà di quello dei lavoratori del Settentrione. Numeri che non possono essere più giustificabili alla luce della quota che l'Europa destinerà all'Italia». Pensare di affrontare questa sfida utilizzando solo il 34% del totale delle risorse rischia di non bastare: «Occorrerebbe superare la clausola del 34% dei fondi del Recovery Fund al Mezzogiorno e prevedere una quota ancora maggiore di risorse, non solo per la necessità di superare il divario infrastrutturale con il Centro-Nord, ma anche e soprattutto perché la spesa d'investimento effettuata al Sud garantisce un più elevato moltiplicatore di crescita per il Paese». 

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È quanto da anni dimostrano Svimez, Srm e Confindustria: l'interdipendenza tra Sud e Nord è un affare anche per il Nord se la si coltiva e sviluppa. E non è un caso se nella lettera vi si faccia esplicito riferimento: «I parlamentari di Camera e Senato, prescindendo dalla realtà geografica cui appartengono, dovrebbero tutti scommettere sulla rinascita del Mezzogiorno con una quota maggiore di quel 34% (ad oggi, solo ipotizzato), in modo da razionalizzare la spesa pubblica e legarla alla percentuale di popolazione residente sul territorio» scrivono i 15 deputati. E ricordano che «già nella relazione sulle Linee guida del Recovery Plan (redatta della commissione Bilancio della Camera e approvata dall'aula di Montecitorio), richiamando i dati ricavati dalle simulazioni illustrate dalla Svimez, si evidenzia la convenienza per l'intera Penisola di un investimento per il Mezzogiorno che superi la clausola». Parole piuttosto chiare: «La destinazione delle risorse del PNRR al Mezzogiorno anche in misura superiore al 34% non solo accelererebbe la velocità di convergenza all'interno del territorio nazionale nel lungo periodo, ma migliorerebbe anche la dinamica di convergenza dell'Italia verso il resto d'Europa». Ogni euro di investimento al Sud genera circa 1,3 euro di valore aggiunto per il Paese, e, di questi, circa 30 centesimi (il 25%) ricadono nel Centro-Nord.

Morale: «Il Recovery come occasione unica per superare il criterio della spesa storica e giungere finalmente alla perequazione tra le diverse aree del Paese e garantire servizi pubblici adeguati anche nelle aree più disagiate, nel rispetto della legge n. 42 del 2009 di attuazione del federalismo e dei principi fondamentali della Carta costituzionale in materia di salute, istruzione e mobilità». 

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