Regionali, vertice Meloni-Salvini-Tajani: Sardegna verso FdI, «ma sì ai tre mandati»

La Lega mollerebbe Solinas per la legge sui governatori

Regionali, vertice Meloni-Salvini-Tajani: Sardegna verso FdI, «ma sì ai tre mandati»
Regionali, vertice Meloni-Salvini-Tajani: Sardegna verso FdI, «ma sì ai tre mandati»
di Francesco Malfetano
Venerdì 12 Gennaio 2024, 01:13 - Ultimo agg. 13:03
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Nessun pranzo. Nessun passo indietro. Nessun passo in avanti. A prendere per buone le versioni ufficiali trapelate, ieri a palazzo Chigi non è successo nulla. “Solo” un lungo incontro sui migranti tra Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani (presenti anche Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano e i vertici dei servizi segreti) con al centro l’iter da seguire una volta che la corte costituzionale di Tirana avrà sbloccato l’intesa Italia-Albania. Possibilità considerata «concretissima» nel giro di qualche giorno.

Eppure tra rumors, toni più bassi e indiscrezioni, ciò che emerge è che l’impasse sulle Regionali pare sul punto di stapparsi grazie alla disponibilità di Salvini ad un passo indietro palesata ieri a Meloni proprio durante «uno dei tanti colloqui» avuti tra i due. Tutt’altro che una resa però. Dietro alla rinuncia alla ricandidatura di Christian Solinas in Sardegna per fare spazio a Paolo Truzzu e al riequilibrio di forze chiesto a gran voce da FdI lungo lo stivale, i leghisti avrebbero ottenuto dalla premier la disponibilità a mettere nero su bianco una norma che estenda fino a tre mandati consecutivi la possibile permanenza dei governatori al vertice di una regione. In altri termini, la rinuncia di Solinas che potrebbe essere ufficializzata già oggi serve a permettere a Luca Zaia di correre nuovamente in Veneto.

Per di più, garantisce una fonte ai vertici del governo, l’idea sarebbe quella di «arrivare ad una ufficializzazione in tempi molto rapidi» e un testo definitivo subito dopo le Europee.

Al di là della proposta di legge ad hoc, a firma di Alberto Stefani (segretario della Liga veneta e presidente della commissione bicamerale per il federalismo fiscale), che il Carroccio ha depositato ieri alla Camera, lo strumento sarebbe stato quindi individuato in un emendamento di maggioranza del decreto della modifica sul TUEL (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), che prevede non ci siano più limiti di mandati per i sindaci dei Comuni fino a 5.000 abitanti e la possibilità di un terzo mandato per i sindaci dei Comuni dai 5001 ai 15.000 abitanti. 

LO SCAMBIO
Tutto fatto? Non ancora. Da vincere - ma questo non sarebbe un vero problema per Meloni - ci sono le resistenze interne in FdI rispetto al via libera al terzo mandato, quelle nella Lega (per cui è difficile digerire lo smacco sardo nonostante Salvini abbia già cominciato a rimarcare a i suoi come a contare debba essere «l’unità dell’esecutivo») e, soprattutto, l’eventuale irrigidimento dei rapporti con Antonio Tajani. E sì perché il rischio è che a pagare il conto potrebbe essere ancora una volta Forza Italia, dato che la Lega per il beau geste di Solinas chiede anche la Basilicata. 

Tant’è che mentre i fedelissimi del ministro degli Esteri ieri dipingevano gli incontri di palazzo Chigi come «un bilaterale» tra FdI e Lega sulla Sardegna per allontanare ogni fantasma, più d’un esponente azzurro continuava a ribadire il proprio sostegno al lucano Vito Bardi. Governatore che, almeno per ora, non è detto debba rinunciare a correre di nuovo. Per quanto Salvini tenga in caldo Pasquale Pepe, ex senatore e attuale coordinatore regionale in Basilicata, e le quotazioni di Bardi siano in «drammatica caduta» per chi tira le redini della strategia territoriale di FdI, si valuterà nei prossimi giorni se è il caso di “bastonare” nuovamente gli azzurri e innescare un effetto domino che avrebbe ricadute anche sulle altre regioni al voto. «L’urgenza da gestire oggi è la Sardegna» garantisce chi orbita attorno alla premier. 

I GOVERNATORI
D’altro canto Meloni è convinta che la distribuzione territoriale dei governatori debba essere la plastica rappresentazione dei rapporti di forza nazionali. E quindi FI - il cui potere contrattuale oggi è stimato come «meno forte» all’interno dell’esecutivo - deve rinunciare a qualcosa, ora o al prossimo giro. Sul tavolo peraltro c’è anche la pistola carica di una candidatura della premier alle Europee da cui, se la Lega può sperare di difendersi perdendo relativamente pochi consensi, gli azzurri potrebbero risultare gravemente feriti. E Meloni, stavolta, non avrebbe alcun timore a sparare. Anzi. 

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