«Riforma della giustizia, il rapporto cittadini-Stato cambia» per Violante

«Riforma della giustizia, il rapporto cittadini-Stato cambia» per Violante
di Generoso Picone
Domenica 1 Agosto 2021, 09:28
4 Minuti di Lettura

Luciano Violante, per consegnare il significato che vede alla base del progetto di riforma della Giustizia, recupera una parola dalla Bibbia, Tsedaqa: «Vuol dire riconciliazione. spiega l'ex magistrato, esponente di rilievo del Pci e dei Ds, quindi presidente della Camera  La filosofia dell'impianto di cui si sta discutendo è racchiusa in questo termine».

Riconciliazione?
«Credo che chiarisca il nocciolo della questione.

La riforma cambia il rapporto tra cittadino e Stato. Nel processo attuale il giudice del dibattimento è una sorta di contabile della pena che si limita a stabilire la durata della separazione del condannato dalla società attraverso la reclusione nel carcere. Il condannato può espiare la sua condanna in un carcere-inferno o in un carcere modello. Nella riforma il magistrato del dibattimento viene, invece, chiamato a prendersi cura del condannato. Avendo conosciuto i fatti può stabilire la sanzione più giusta perché, ferma la punizione, sia ricostituito il rapporto con la società, infranto dal reato. Lo Stato guadagna un cittadino. La criminalità perde un potenziale manovale. Mi ha fatto tornare in mente un episodio all'inizio della mia carriera di giudice».

Quale?
«Era una delle mie prime udienze. Avevo 26 anni, alcuni da volontariato in carcere. Si decise di condannare un ventitreenne a 7 anni. Io chiesi ai miei colleghi: lo condanniamo a sette anni di cosa? Mi guardarono straniti, come se fossi stato un marziano. Ecco, la riforma Cartabia si pone il problema del che cosa. Questa la ragione per cui valuto positivamente la sua filosofia».

Perché si limita alla filosofia?
«Perché occorrerà aspettare l'articolato. Si tratta di una legge delega e la sua applicazione rappresenta un momento di verifica decisivo. Penso, ad esempio, al rapporto prescrizione-improcedibilità che sotto il profilo tecnico avrà bisogno di approfondimenti. Ma se si costruisce un clima di corretta collaborazione tra governo e Parlamento, in una condizione di equilibrio proficuo, si potrà correggere dopo qualcosa che appaia suscettibile di correzione. Occorrerà poi riformare l'ordinamento giudiziario. Nelle questioni complesse nessuno può immaginare di avere preventivamente ragione. Ci si confronta e si può intervenire anche in corso d'opera con flessibilità».

Non la sorprende che l'opposizione provenga soprattutto dalla Magistratura?
«Anche Fdi si è opposta. Ma lei ha colto un punto importante. Però distinguerei tra le modalità di critica e di opposizione. Alcune divergenze per terrorismo, criminalità organizzata e droga mi paiono superate. Forse si guarda con preoccupazione al Comitato per il monitoraggio sull'efficienza della giustizia penale, previsto dalla riforma. Se si vuole raggiungere l'obiettivo dell'efficienza e dello snellimento è necessario adottare queste verifiche. Se c'è un problema di organizzazione, si provveda, non facendo pagare ai cittadini le carenze della Pubblica Amministrazione. Credo poi che il Parlamento debba essere informato nella relazione annuale del Ministro della Giustizia dei casi di magistrati imputati, arrestati o condannati. I condannati che giudizio hanno avuto sulla loro professionalità? Funzionano questi giudizi? Credo sia opportuno disporre di questi elementi per poter riformare con efficacia».

È anche un segno dei tempi?
«Temo che i no a priori rischino di aggravare la crisi di legittimazione della Magistratura. Mi auguro che essa possa concorrere a costruire un processo penale nuovo, diventando protagonista e non antagonista di questo cambio radicale di cultura. Il fatto è che è saltato il confine netto tra lo spazio politico e quello giuridico con lo stravolgimento dei rispettivi compiti: di fronte all'abdicazione della politica, il giudice è diventato il gestore di regole confuse. Il sovrano dello Stato di eccezione, direbbe Carl Schmitt. Biagio de Giovanni ha studiato con raffinata attenzione questo tema».

Lei, tre anni fa, scrisse proprio con Cartabia il libro Giustizia e Mito. Si può dire che lo schema di riforma provenga da quelle riflessioni?
«Sarebbe una inelegante vanteria. Posso dire che dobbiamo tornare alla Costituzione, che indica un diverso scopo della pena, come rieducazione e recupero. Riconciliazione, appunto».

© RIPRODUZIONE RISERVATA