Sud, pioggia di miliardi: un tesoretto da non sprecare

Sud, pioggia di miliardi: un tesoretto da non sprecare
di Nando Santonastaso
Lunedì 30 Dicembre 2019, 10:00 - Ultimo agg. 13:00
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«Perché i soldi annunciati per il Mezzogiorno alla fine non si spendono?», si chiedeva con apparente ingenuità Adriano Giannola, l'economista presidente della Svimez alla vigilia della presentazione dell'ultimo Rapporto dell'Associazione sull'economia e la società del Mezzogiorno. Domanda retorica solo in apparenza, appunto, soprattutto più che mai attuale all'indomani delle importanti risorse annunciate al Mattino dai due ministri Paola De Micheli, titolare dei Trasporti e delle Infrastrutture, e Giuseppe Provenzano, responsabile del Sud e della Politica di Coesione. Complessivamente 33 miliardi in due anni tra ferrovie, strade, porti, aeroporti e dighe, ha assicurato la prima, nel breve volgere di due anni. Almeno 4,5 miliardi di spesa del Fondo sviluppo coesione, costituito solo da soldi italiani, per il solo 2020, ha ribadito il secondo. Una montagna di euro, senza dubbio, superiore a quella movimentata dall'ultima legge di Bilancio. Ma fino a che punto è lecito sperare che da essa non scaturirà l'ennesimo topolino? Fin dove, cioè, è lecito attendersi la svolta pronosticata dal governo per il Mezzogiorno in termini di investimenti e di economia reale (quella che in fondo sta più cuore ai cittadini)? In altre parole: quale «impedimento» potrà impedire al Sud di spendere stavolta fino all'ultimo euro?

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Va chiarito in premessa che delle decine di miliardi in questione (più di 40) solo una parte sono nuovi. Nel senso che l'attuale governo ha messo le mani su risorse già programmate e non ancora spese, spesso non per volontà politica ma semplicemente per lungaggini procedurali. È il caso ad esempio dei circa 8 miliardi che le Ferrovie dello Stato hanno previsto di investire attraverso il loro Piano industriale al Sud (e non solo nella Napoli-Bari). O degli oltre 2 miliardi destinati dall'Anas alla statale Jonica e alle strade provinciali. Si tratta di programmazioni antecedenti all'attuale governo giunte a fasi cantierabili e dunque materialmente spendibili sulle quali però - ecco l'attesa novità i tempi di realizzazione dovrebbero essere finalmente concreti e certi perché direttamente monitorati dal governo. «Naturalmente i conti vanno sempre fatti con ricorsi e lungaggini nell'assegnazione dei lavori per ogni cantiere, come purtroppo accade in Italia, ma le opere del prossimo biennio sono di fatto già pronte a partire», dice la ministra De Micheli. In altre parole, nessun ostacolo soprattutto di natura finanziaria potrà rimetterle in discussione: i soldi c'erano e ci sono, la differenza dovrà farla la capacità di spenderli. Se il governo farà la sua parte, s'intende, soprattutto in termini di controlli serrati e trasparenti: il nocciolo della questione sta in gran parte qui.

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È lo stesso scenario che attende il vero, trascurato tesoretto delle risorse per il Mezzogiorno, il Fondo sviluppo coesione che destina l'80 per cento delle somme al Sud ma la cui magrissima spesa è venuta alla ribalta solo da poco, grazie, ancora una volta, al documentato allarme lanciato dalla Svimez e in particolare dal direttore Luca Bianchi. Anche in questo caso, infatti, non si può parlare di risorse nuove di zecca: i 4,5 miliardi che il ministro Provenzano spera di spendere nel solo 2020 in investimenti pubblici su ambiente, edilizia e scuola soprattutto appartengono infatti alla dotazione multimiliardaria del Fondo, regolarmente appostato anno per anno tra il 2014 e il 2020 nel Bilancio dello Stato (la programmazione coincide con quella dei fondi strutturali europei) ma, come detto, mai utilizzati fino in fondo. Lo dimostra il fatto che nel 2019 ne sono stati impiegati solo 1,7 miliardi. E rivolgendo il nastro agli anni precedenti, la situazione non cambia. Evidente la conferma del paradosso sul quale i dibattiti sul futuro del Mezzogiorno da tempo si avvitano: invocare più risorse per il rilancio complessivo di quest'area appare sempre più un falso problema di fronte all'incapacità di spendere quelle che già ci sono. E che, come visto, sono ingenti.

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Qui, però, mettere mano a nuove risorse sembra altrettanto inevitabile.

Nel senso che l'annuncio del ministro Provenzano di una corsia preferenziale per rilanciare l'occupazione femminile attraverso una serie di incentivi necessiterà di capitoli di spesa finalizzati. Sarebbe difficile, almeno a lume di naso, utilizzare ad esempio risorse del Fondo sviluppo coesione e sicuramente impossibile attingere a quelle europee, vincolate in maniera rigida da Bruxelles con l'avallo dello stesso Stato italiano. Si potrebbe ripercorrere la strada delle decontribuzioni per l'assunzione degli under 35 a tempo indeterminato che sotto il governo Renzi ebbero un picco mai più ripetuto tra il 2015 e il 2016. In quel caso furono impegnate su scala nazionale risorse (circa un miliardo e mezzo su base triennale) in realtà desinate per intero al Sud: ora che il clima, almeno nelle intenzioni, sembra diverso una scelta del genere non sarebbe più spiegabile. Sarà il Piano straordinario per il Sud del governo a indicare la necessaria copertura del provvedimento, una delle novità più interessanti di questi ultimi mesi. E dallo stesso Piano si capirà anche cosa può diventare il Mezzogiorno nei prossimi dieci anni: finora non ci ha provato nessuno, da 30 anni almeno ha prevalso l'unica regola dell'emergenza, spesso strumentalizzata per fini politici. Ma se fosse questo il vero choc di cui quest'area ha bisogno per iniziare a correre?

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