«Scito», la società campana di immunoterapia oncologica parte dal Pascale e abbraccia tutto il Mediterraneo

La società è stata creata dall'oncologo del Pascale, Paolo Ascierto

I giovani ricercatori Vitale e Mallardo
I giovani ricercatori Vitale e Mallardo
Mercoledì 21 Febbraio 2024, 14:40
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Lotta al cancro e nuove frontiere delle terapie immunologiche. In Campania scendono in campo le migliori professionalità specialistiche: un team che unisce le forze e dà vita a «SCITO», la Società Campana di Immunoterapia Oncologica, creata dall’oncologo del Pascale, Paolo Ascierto.

La società è nata nel 2017, quest’anno apre il suo convegno con l’obiettivo di allargarsi non solo alle regioni del Mezzogiorno di Italia, ma anche ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo: Grecia, Turchia, Spagna.

«La missione della Scito – dice il massimo esperto nel mondo nel campo del melanoma – è quella di incoraggiare l’educazione, la formazione e la ricerca sull’immunoterapia oncologica rivolgendosi a esperti colleghi di differenti discipline. Soltanto con la multidisciplinarità e la trasversalità si possono unire le forze e dare nuovi approcci e nuove opportunità di cura ai pazienti oncologici. Altro obiettivo di Scito è la promozione di studi clinici in quei setting di pazienti dove non c’è una frequenza della malattia importante.

Si tratta per lo più di gruppi di pazienti resistenti alla chemioterapia, molto rari, con piccoli numeri, quindi, ma con bisogni importanti».

Il convegno avrà luogo venerdì 23 febbraio, all’hotel Royal Continental, a Napoli. In scaletta, i nomi dell’oncologia internazionale (Cesare Gridelli, Enzo Montesarchio, Luigi Buonaguro, Bruno Daniele, Antonio Avallone, Mario Mandalà, Hector Soto Parra, Evaristo Maiello).  Ma anche moltissimi giovani.

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Ed è proprio dallo studio di una giovane oncologa, Maria Grazia Vitale, siciliana di origini, ma da anni al Pascale, e del biotecnologo Domenico Mallardo, entrambi del team di Ascierto, che parte una nuova speranza per i pazienti affetti da melanoma metastatico per i quali, fino all'altro ieri, neanche l'immunoterapia veniva vista come un'ancora di salvezza. Si tratta di uno studio osservazionale retrospettivo che sta dimostrando come l’immunoterapia somministrata a pazienti con patologie autoimmuni, per definizione esclusi dall’immunoterapia, con multiplemetastasi, senza possibilità terapeutica, stanno rispondendo meglio di quelli senza autoimmunità, con speranza di vita migliore e una progressione della malattia più lenta.

«Numerosi studi – spiega Maria Grazia Vitale – sostengono l’intima relazione tra cancro e malattie autoimmuni, ma i meccanismi dettagliati e la fisiopatologia non sono stati chiariti, ponendo di fatto un ostacolo alla prevenzione e al trattamento della malattia stessa. I pazienti affetti da cancro con malattie autoimmuni sono stati esclusi dalla maggior parte degli studi sugli inibitori dei checkpoint immunitari, a causa delle preoccupazioni sull’aumento del rischio e di eventi avversi correlati al sistema immunitario. Con questo studio abbiamo pertanto raccolto dati da 203 pazienti con melanoma metastatico in stadio III e IV con checkpoint immunitari da aprile 2016 a dicembre 2022 presso il Pascale. Di questi, 41 pazienti (il 20 per cento) avevano una concomitante malattia autoimmune e quindi il restante 80 per cento, 162 pazienti, che avevano ricevuto l’immunoterapia sono stati utilizzati come gruppo di controllo».

Lo scopo dello studio era ovviamente quello di confrontare in uno scenario reale l’efficacia e la sicurezza del trattamento con immunoterapia nella malattia autoimmune e nel gruppo di controllo. E vediamo cosa è emerso: «la migliore risposta complessiva – dice Domenico Mallardo – dopo il trattamento con l’immunoterapia è stata del 46,3% e del 32,7% rispettivamente nel gruppo autoimmune e in quello di controllo. Nel gruppo di pazienti con malattia autoimmune la frequenza di interruzione permanente dovuta al peggioramento della malattia autoimmune è stata del 26,8%. Il tasso di mortalità è stato del 29,3%. In conclusione i pazienti con una malattia autoimmune preesistente hanno mostrato una migliore risposta. Considerando la complessità di questi ammalati, sono ovviamente necessari un approccio multidisciplinare e una rete ospedaliera per gestire la riacutizzazione dell’autoimmunità e gli effetti collaterali».

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