Covid, il monito di Attali: sui vaccini
troppi errori degli operatori europei

Covid, il monito di Attali: sui vaccini troppi errori degli operatori europei
di Nando Santonastaso
Lunedì 29 Marzo 2021, 08:12 - Ultimo agg. 30 Marzo, 07:33
5 Minuti di Lettura

Monsieur Attali, l'Europa sembra ancora divisa e incerta sulla gestione della campagna vaccinale. Troppi ritardi, indecisioni e contrasti, che ne pensa?
«Immaginate cosa che sarebbe la situazione se ogni Paese in Europa avesse tentato di avere i vaccini da solo risponde al telefono da Parigi Jacques Attali, economista francese di origini algerine, 77 anni, saggista e banchiere, considerato l'eminenza grigia di Francois Mitterrand -. Io penso che il mercato unico e l'euro avrebbero potuto scomparire. Quindi dobbiamo rafforzare la nostra solidarietà e la nostra unione a tutti i costi. Ma si deve anche riconoscere lo scandalo degli errori commessi dai commissari europei e dai negoziatori dei vaccini. È riconoscendo i suoi errori che l'Europa potrà progredire».


A quali errori si riferisce nello specifico, professore?
«Mi fa infuriare vedere che i leader europei sono stati abbastanza naifs, ingenui, a differenza dei loro omologhi inglesi e americani, per non aver preteso dalle società farmaceutiche, con cui si erano impegnati a sostenere la ricerca, una priorità nella consegna dei vaccini che ne sarebbe derivata.

Mi fa rabbia averli visti continuare a credere in un modo angelico nell'apertura delle loro frontiere comuni, mentre sappiamo da lunghissimo tempo che la sopravvivenza dell'Unione europea richiede una politica industriale e doganale comune e aggressiva in particolare nelle aree chiave dell'economia della vita. Mi fa rabbia di averli visti negoziare i prezzi al più alto ribasso a discapito della sola cosa che contava: la disponibilità. E sono arrabbiato di averli visti rifiutare di circondarsi di esperti di queste trattative per condurle loro stessi, ma senza competenze; e di averli visti ritardare la conclusione dei contratti per proteggere i negoziatori da qualsiasi rischio legale, anche immaginario».


Il suo è un autentico cahiers des doléances?
«Sono arrabbiato perché hanno presunto che i cittadini del nostro continente non avrebbero mai accettato di rivelare le loro informazioni mediche personali per il vaccino, come invece hanno fatto gli israeliani. Primo perché è una bugia: gli israeliani non hanno comunicato che dati anonimi, che non è proprio la stessa cosa. Secondo, perché, anche se fosse stato vero, avrebbero dovuto offrire questa scelta agli Europei e io non sono certo che essi avrebbero rifiutato».


Perché Biden è sembrato così cauto nel promettere i vaccini all'Europa? Sulla pandemia si sta giocando una più ampia partita geopolitica?
«Gli americani hanno scelto giustamente di vaccinarsi prima per poi utilizzare la loro grande capacità di produzione per prepararsi a rivaccinarsi in pochi mesi e a vaccinare il mondo. Vogliono utilizzare, e in fondo anche noi, queste risorse per un obiettivo di altruismo interessato: è loro interesse essere altruisti e io ho capito che l'Europa non è la loro priorità. Ma questo è anche un modo per comprendere che dobbiamo contare su noi stessi. E dotarci di strumenti di ricerca e di produzione industriale dei vaccini all'altezza del più ricco continente del mondo. Il futuro dell'Europa dipende dal suo rinnovamento industriale, che presuppone un maggiore controllo dei nostri confini commerciali».


Lei ha detto che la pandemia può determinare la riconversione di vasti settori industriali, come l'automotive: che vuol dire in concreto?
«Voglio dire che questa crisi ha dimostrato che i settori chiave di cui abbiamo un disperato bisogno, non si sono dimostrati sufficientemente sviluppati. Parlo di dodici settori: salute, igiene, istruzione e ricerca, alimentazione sana, agricoltura ragionata, energie rinnovabili, logistica, digitale, cultura e media, democrazia e sicurezza, alloggi sostenibili e assicurazioni. Questi dodici settori formano quello che ho chiamato l'economia della vita. Al contrario, i settori legati all'aerospazio, all'energia fossile, alla plastica, alla chimica, alla moda, alla meccanica e all'auto, dovranno ampiamente modernizzarsi e trasformarsi per essere coerenti con i nuovi requisiti ecologici, sociali e di governance. Alcuni dei lavoratori in questi settori non dovranno perdere i loro salari ma essere formati alle novità dell'economia della vita. Questo non vuol dire che bisognerà rinunciare a ridere, mangiare o vestirsi. Bisognerà cambiare alcune priorità e lottare contro ogni spreco».


L'etica, lei ha detto, deve essere riscoperta adesso che ci sono tante risorse, perché essere altruisti è una condizione di sopravvivenza. Che vuol dire?
«Noi abbiamo interesse ad essere altruisti, cioè utili agli altri. Ad esempio, abbiamo interesse a che si portino le mascherine, che tutti siano vaccinati. Abbiamo più in generale interesse al benessere delle future generazioni, che finanzieranno le nostre pensioni e ci sostituiranno al lavoro. Se si vogliono avere medici e insegnanti domani, bisogna finanziare i loro studi oggi».


Cosa può dare Mario Draghi in più all'Europa? Riuscirà con lui l'Italia a recuperare credibilità internazionale?
«L'Italia è una grande nazione. La sua credibilità è intatta e non dipende dal nome del suo primo ministro. Mario Draghi è una speranza per l'Italia e per l'Europa, è un amico personale e un grande politico. Ma è anche un convinto europeista e parteciperà alla realizzazione del progetto comune europeo, facendo l'interesse degli italiani».


Magari incominciando dal Sud per aprire le porte all'economia della vita?
«Come ho già detto, l'economia della vita è un progetto globale, entusiasmante, che impiegherà almeno una ventina di anni per essere costruito. Napoli e il Sud Italia dovrebbero occuparne il primo posto».

© RIPRODUZIONE RISERVATA