Cinque sieri e miliardi di dosi, ​i tanti dubbi dei vaccini cinesi

Cinque sieri e miliardi di dosi, i tanti dubbi dei vaccini cinesi
di Erminia Voccia
Lunedì 10 Maggio 2021, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Gli Stati Uniti cercano di porsi alla guida della risposta globale alla pandemia, contrastando l’azione cinese e russa. L’annuncio da parte Usa di appoggiare la sospensione dei brevetti sui vaccini contro il nuovo coronavirus, per favorirne la produzione e la distribuzione in tutto il mondo, è una pura intenzione, una dichiarazione di intenti dal valore politico. Secondo i critici, i brevetti sui vaccini non sono il principale ostacolo alla produzione a alla distribuzione su vasta scala, destinata in particolare ai Paesi a basso reddito dove il virus sta colpendo di più. Al contrario, alcuni scienziati suggeriscono che la decisione sarebbe addirittura pericolosa perché impedirebbe alle case farmaceutiche di avere accesso a quegli incentivi fondamentali all’innovazione scientifica, funzionali alla ricerca medica, al controllo delle malattie, onde far fronte a future pandemie. In tempi brevi non sarebbe possibile l’incremento di produzione dei vaccini su scala mondiale perché si renderebbe necessario anche il trasferimento di tecnologia, know-how e personale qualificato che in tanti Paesi del mondo mancano. 

Jerome Kim, direttore generale dell’International Vaccine Institute, ha spiegato ad Asia Times che nel breve periodo la sospensione dei brevetti potrebbe non condurre a un incremento di produzione dei vaccini.

E sul lungo periodo, le conseguenze potrebbero essere anche peggiori perché introdurre un numero superiore di produttori complicherebbe il funzionamento della catena di approvvigionamento, riducendo potenzialmente l’offerta globale di vaccini. La mossa potrebbe rivelarsi ancor più controproducente per Washington, in quanto le aziende statunitensi potrebbero perdere in competitività rispetto a quelle cinesi. 

La Federazione internazionale dei produttori e delle associazioni farmaceutiche lo ha espresso con chiarezza: il vero collo di bottiglia è costituito dalle barriere commerciali, in primo luogo lo US Defence Production Act (DPA). Un provvedimento attivato da Trump e confermato da Biden che privilegia l’interesse americano bloccando l’esportazione di materie prime fondamentali alla produzione di vaccini. 

Tuttavia, il mondo ha bisogno dei vaccini occidentali considerati i tanti dubbi che ancora aleggiano intorno a quelli sviluppati da Russia e Cina. Il problema riscontrato con Sputnik, come ha sottolineato Roberto Burioni, è che un vaccino efficace dovrebbe essere costituito da virus incapace di replicarsi. Al contrario, tutti i campioni analizzati in Brasile contenevano virus in grado di replicarsi. Ecco perché la richiesta di impiegarlo in alcuni stati brasiliani è stata respinta dall’Agenzia nazionale per la vigilanza sanitaria. 

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Il 7 maggio l’Organizzazione mondiale della Sanità ha dato l’omologazione d’urgenza al vaccino anti-Covid Sinopharm. L’Oms raccomanda di usare il siero, il primo cinese ad ottenere l’approvazione, per chi ha più di 18 anni. Tale pronunciamento apre potenzialmente le porte alla vasta distribuzione dei vaccini, permettendone l’accesso ai Paesi a basso reddito parte del programma Covax. Pechino ha promesso di produrre 5 miliardi di dosi entro la fine dell’anno, ma non è detto che ci riesca.

Inoltre, come ricorda la rivista scientifica Nature, i dati sui vaccini cinesi sono ancora scarsi. I ricercatori della Repubblica Popolare sono stati i primi a sviluppare sieri contro il Covid-19, ma non hanno ancora pubblicato i risultati definitivi dei test. Sin dal principio, il processo di sviluppo dei cinque vaccini cinesi è stato avvolto da una coltre spessa di opacità. A marzo, l’azienda distributrice di Sinopharm aveva offerto al Governo emiratino una terza dose di vaccino ai cittadini per i quali le prime due previste non erano state abbastanza efficaci. I risultati delle campagne vaccinali di CoronaVac sono stati diversi da Paese a Paese, scrive ancora Nature. In Brasile il vaccino CoronaVac ha mostrato un’efficacia pari al 50,7%, mentre in Turchia l’efficacia è stata del 83.5%. In Cile l’efficacia si è attestata a metà tra il caso brasiliano e quello turco, arrivando al 67%. La soglia minima fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità perché un siero possa dirsi valido è del 50%. «Credo che i vaccini cinesi possano essere una buona scelta, se nient’altro è disponibile», ha spiegato Murat Akova dell’Università Hacettepe di Ankara. 

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