«Assistiamo parenti con l'Alzheimer, paghiamo con la nostra vita ma nessuno riconosce il nostro lavoro»

Il dramma dell'Alzheimer
Il dramma dell'Alzheimer
Fulvio Scarlatadi Fulvio Scarlata
Lunedì 30 Gennaio 2023, 16:21 - Ultimo agg. 21 Febbraio, 15:18
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«La cosa più insostenibile è quello sguardo: gli occhi di una persona persa, che non ti riconoscono più, che non sanno più dove sono e a quale mondo appartengono. Uno strazio. La malattia non è solo dei malati di Alzheimer ma anche di quanti li curano». E' un lacerante, doloroso, angosciante viaggio ai confini della malattia quello che raccontano le donne che curano i malati di Alzheimer, la malattia degenerativa che dalla demenza conduce fino all'incubo dell'annullamento della personalità e dell'esistenza. "Noi caregiver non veniamo riconosciuti - dice Stefania De Vero - la nostra assistenza non viene riconosciuta anche se ci costringe a lavorare 24 su 24, costringendoci spesso a lasciare il lavoro e ogni forma di vita sociale. Siamo abbandonati a noi stessi". "Mio marito ha avuto i primi sintomi a 50 anni, poi ha dovuto lasciare tutto - racconta Patrizia Ciardiello - Ora dobbiamo vivere con 500 euro della pensione di accompagnamento. Già è assurdo vederlo andare via così, non si può aggiungere anche la preoccupazione di come sopravvivere". "Ma se non vogliono darci soldi, almeno ci offrano servizi - continua Maria Grazia Patané - Questi malati hanno bisogno di centri diurni come si fa con i bimbi all'asilo: c'è bisogno di professionisti che li stimolino o il processo degenerativo procederà ancora più rapidamente".

C'è un ostacolo inconfessato e inconfessabile, immateriale eppure così concreto, quando si parla di Alzheimer.

Perché quella che comincia come demenza e finisce nell'Alzheimer è una malattia che può colpire tutti e comincia a dilagare sempre più presto, anche a 40 anni, mentre già a 50 sono tantissimi i casi.

"Mio marito era una forza, uno combattivo - spiega Patrizia Ciardiello - ha cominciato a lavorare da bambino in una vetreria, da adolescente come salumiere, poi i camion e ancora le bancarelle nei mercati. Quando a 50 ha cominciato ad avere i primi sintomi doveva prendere medicinali che lo stordivano, non poteva guidare il camion. E ha continuato a lavorare. Ancora un po'. Poi non sapeva più neanche allacciarsi le scarpe".

Se Patrizia ha perso, insieme al marito, l'unica fonte di reddito, Stefania De Vero ha dovuto lasciare il lavoro per assistere la madre, come Maria Grazia Patané. "L'unico sostegno economico - sottolinea Stefania - è l'assegno di accompagnamento ma è un iter burocratico estenuante". I racconti si susseguono uguali: invece della demenza o dell'Alzheimer viene diagnosticata la depressione o, addirittura, il diabete. Dopo anni, quando finalmente si arriva ad una Tac che identifica la malattia, si deve aspettare mesi per vedere il primo assegno. "Ma noi caregiver - ripete De Vero - non esistiamo". "Tutto ricade su di noi - rincara Patané - tutto il peso emotivo, fisico e anche istituzionale perché è una burocrazia bastarda quella che ci costringe tra mille vincoli ignorando il carico che già sopportiamo. Da soli. Perché appena la malattia diventa manifesta spariscono tutti, amici e parenti di mio marito come i miei". "Non ci possono lasciare a racimolare 50-100 euro tra conoscenti - è amara Ciardiello - con la dignità messa sotto i piedi".

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Dopo la mente, è proprio la dignità l'altra vittima dell'Alzheimer. La dignità del malato, che i caregiver cercano di salvaguardare a costo di sforzi enormi. E la dignità di chi fa assistenza. "La demenza è una piaga - continua Maria Grazia Patané - che colpisce anche 40 enni, ma che con una popolazione che invecchia sempre di più dovrebbe avere più attenzione dalle istituzioni. Ma l'Alzheimer colpisce anche noi caregiver: le nostre malattie sono la pressione alta, l'insonnia, l'ansia oltre al logorio fisico e mentale. Ci sosteniamo tra noi usando i social per collegarci in tutta Italia, ma ora vogliamo risposte".

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