Sesso, via libera dai cardiologi: non aumenta il rischio infarto

Sesso, via libera dai cardiologi: non aumenta il rischio infarto
Venerdì 25 Settembre 2015, 18:49 - Ultimo agg. 21:00
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La maggior parte dei cardiopatici può tranquillamente riprendere questa l'attività sessuale dopo un attacco di cuore. La buona notizia arriva da una lettera dei ricercatori tedeschi, pubblicta su "Journal of American College of Cardiology".



L'idea di fare sesso può preoccupare molti pazienti che hanno superato un attacco cardiaco, timorosi del fatto che lo sforzo possa innescare un altro evento potenzialmente fatale. Ma, i dati sui possibili danni dell'attività sessuale in questi malati sono limitati, inoltre, secondo i ricercatori fare sesso in genere comporta una moderata attività fisica, paragonabile a due piani di scale o a una camminata veloce.



Gli studiosi hanno esaminato 536 pazienti con malattie cardiache, tutti tra 30 e 70 anni, per valutare l'attività sessuale nei 12 mesi precedenti ad un attacco di cuore e stimare l'associazione della frequenza degli incontri sotto le lenzuola con eventi cardiovascolari successivi, compresi attacco di cuore fatale, ictus o morte cardiovascolare.



In un questionario il 14,9% dei pazienti ha riferito un'attività sessuale pari a zero nei 12 mesi precedenti all'infarto, il 4,7% ha fatto sesso meno di una volta al mese, il 25,4% meno di una volta alla settimana e il 55% una o più volte a settimana. Durante i dieci anni di follow-up, 100 eventi cardiovascolari avversi si sono verificati nei pazienti dello studio.



L'attività sessuale, concludono gli esperti, non è risultata un fattore di rischio per successivi eventi cardiovascolari avversi. I ricercatori hanno anche valutato la tempistica dell'ultima performance prima dell'attacco di cuore. Solo lo 0,7% aveva fatto sesso nel giro di un'ora prima dell'infarto. In confronto, oltre il 78% aveva avuto un rapporto più di 24 ore prima dell'attacco cardiaco.



«Sulla base dei nostri dati, sembra molto improbabile che l'attività sessuale sia l'evento scatenante di un attacco di cuore», ha detto Dietrich Rothenbacher, autore principale dello studio e professore dell'Istituto di epidemiologia all'università di Ulm in Germania.