La Puglia, “grazie” alla pandemia, ha potuto scavalcare il blocco del turnover e, da marzo 2020 ad aprile 2021, ha assunto complessivamente 7.638 operatori sanitari. Il paradosso, però, è che nonostante questo il divario con le regioni del Nord potrebbe persino essersi acuito. Spesso il governatore Michele Emiliano ha lamentato, a ragion veduta, le differenze a livello di piante organiche di medici e infermieri tra la Puglia e, ad esempio, l’Emilia Romagna, il Veneto o la Toscana, regioni simili per numero di residenti.
I numeri delle assunzioni
Bene, delle 7.638 assunzioni fatte durante l’emergenza sanitaria 1.126 riguardano medici e 2.737 sono infermieri; l’Emilia Romagna, che in totale di assunzioni ne ha fatte 10.660, ha invece messo sotto contratto 2.295 medici, quasi il doppio rispetto alla Puglia, e 5.007 infermieri. La Toscana di medici ne ha assunti 1.478 e 3.019 infermieri; il Veneto può contare su 1.928 medici in più. Fuori concorso la Lombardia che ha assunto 4.595 medici e 4.346 infermieri. Solo il Piemonte ha messo sotto contratto circa lo stesso numero di medici della Puglia, poco meno: 1.102.
Il focus della Corte dei Conti
I numeri vengono sciorinati dalla Corte dei Conti nel “Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica” e si tratta di una elaborazione fatta dai magistrati contabili sulla base delle informazioni fornite dal ministero della Salute. Il Covid, quindi, se da un lato ha finalmente sbloccato le assunzioni in Puglia dopo anni di stop, dall’altra rischia di ampliare la forbice tra Sud e Nord. È infatti tutto il Mezzogiorno a “soffrire”: delle 83.180 assunzioni fatte negli ospedali italiani tra medici, infermieri e altro personale, 38.942, quasi la metà, sono concentrate al Nord, 15.992 al Centro, 18.970 al Sud e 9276 nelle due isole. Non solo: le regioni del Nord hanno assunto anche più personale a tempo indeterminato.
Al Sud l'83% dei contratti a tempo determinato
«Nelle aree del Nord (sia in quelle del Nord-ovest che del Nord-est) e del Centro – si legge nella relazione - seppur in misura inferiore, l’aumento dei costi dell’area sanitaria è in prevalenza riconducibile a contratti a tempo indeterminato. Nel Sud l’aumento è invece solo per il 16 per cento riferibile a forme permanenti; di converso, l’incremento dei costi è per l’83 per cento riconducibile a posizioni a tempo determinato».
Le causa della "sofferenza" sanitaria in Puglia
Perché la Puglia e più in generale il Sud hanno assunto meno personale? Ci sono diverse concause, ne elenchiamo qualcuna: le regioni del Nord hanno maggiore forza “attrattiva”, riuscendo a garantire contratti più “ricchi”; la prima ondata di contagi ha colpito prevalentemente il Nord e i rinforzi, in quella fase, si sono concentrati in quelle regioni; le regioni settentrionali hanno maggiore libertà di manovra finanziaria. Lo evidenzia anche la Corte dei Conti: mentre le Regioni settentrionali nel 2020 hanno accresciuto la propria spesa sanitaria del 3,74% rispetto al 2019, quelle del centro del 5,78%, nel Mezzogiorno l’aumento è stato più contenuto, +2,41%. A consuntivo, la spesa sanitaria ha raggiunto a livello nazionale i 123,5miliardi, con un incremento di quasi 7,8 miliardi rispetto al 2019, superiore a quella prevista di oltre 2,6 miliardi. Ma se il Veneto ha aumentato la propria spesa del 7,79%, la Toscana del 7,21%, l’Emilia Romagna dell’8,66%, al Sud la Puglia ha incrementato solo del 2,90%, la Campania del 3,57%, la Calabria ha ridotto dello 0,8%. «Nel Nord del Paese – si legge - l’aumento è superiore nelle regioni non in Piano (+3,4 per cento) rispetto a quelle in Piano (+2,7per cento)». Le Regioni in Piano di rientro sono tutte del Sud, quelle non in Piano quelle del Nord. «Sul fronte del ruolo sanitario – evidenziano i magistrati contabili - crescono sopra media, oltre Bolzano e Valle d’Aosta, il Lazio, l’Emilia e la Toscana (tra il 6 e il 4,9 per cento). Le regioni di minori dimensioni del Sud (Molise, Basilicata e Calabria) registrano una seppur contenuta riduzione, regioni queste che presentano (uniche nel quadro nazionale) una flessione complessiva della spesa rispetto al 2019».